Il debutto del governo Meloni, seguito con particolare attenzione in tutti i suoi aspetti, per motivi ben noti, non ha mancato di soddisfare la parte più gossippara dei mezzi di comunicazione regalando, ad esempio, l’esordio della ministra Bernini, il giorno del giuramento, seguito passo passo da una story pubblicata dalla neo-ministra su Instagram, accompagnata da una colonna sonora farcita di brani di vari cantanti italiani, tra cui Ambra, Renato Zero, Vasco Rossi e Lucio Battisti. Ancora, il sottosegretario Vittorio Sgarbi aveva annunciato di volere, come consulente per la musica al suo ministero della Cultura, Marco Castoldi in arte (?!) Morgan. Nomina poi sfumata, in favore della direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, più nota per la pubblicità del Bioscalin che per le sue gesta direttoriali, anche se già ossequiata dal tam-tam mediatico come «uno dei più importanti direttori del mondo» (con sottomessa rinuncia a salti mortali gender tra direttore, direttora, direttrice, in osservanza alle volontà del[la] presidente Meloni). Questi, e altri fatti, sono sintomatici di un cambiamento culturale riguardante la musica – già quale sia «la musica» oggi, e quali il suo ruolo e il suo spazio nella società – ormai pienamente realizzato, in modo silenzioso ed efficacissimo, nel corso di alcune decine d’anni.

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