Che poi non è tanto la cosa in sé, ma la preparazione. Hai sentito questa frase almeno due o tre volte all’anno dal 2006: quando l’hanno fatta a tua madre, che però era in ospedale e tu non te ne sei nemmeno accorta, lo hai appreso dall’esito, ahitè nefasto. È da lì che ti ripetono: tu devi farla, la ’nscopia, perché c’è la familiarità, e poi a che serve lo screening del sangue, noi cerchiamo il polipo, non il cancro. Figuriamoci la tegola in testa la mattina anzi il pomeriggio in cui, come da rito, hai ritirato le analisi e stavi scaramanticamente svolgendo la fisarmonica diagnostica per le scale (guai la mail: devi apprendere l’esito sempre dallo stesso gradino, tra il secondo e il terzo, fermandoti e – ohibò- sospirando), e ti rallegravi tra te e te (chi altri sennò) che dai, le stelline son tutte incolonnate giuste, meno male. Eh ma il sanguocculto è giù in fondo al foglio, lì non c’è stellina a marcare, c’è invece l’evidenza di quel fenomeno che spieghi alle lezioni di Lingua del Diritto: quando una cosa o meglio una parola assume un significato contrario all’uso, così positivo nell’uso è ok, ’ndata, mentre se è di un referto che parliamo ennò, rco giuda, ccidentaccio. Ed eccolo là, che è positivo, il sanguocculto. Ma come! Le altre volte no, era negativo, il sangue, quello lì specificamente (scusate) fecale. E infatti lo ripeti per quello, perché non è una tantum, che non significa una volta ogni tanto, come pensano le genti, ma una volta e basta. Non è una tantum, una volta e basta, il sangue, quello lì specificamente (scusate) fecale e tu lo difatti monitori ogni volta che decidi di andare a tirarti l’altro sangue, quello generico che fiotta dal braccio (si fa per dire, il tuo deve trivellarlo la dottoressa cupamente esperta in vene ultrasottili nominata antifrasticamente Gaia), circa due volte l’anno. Così ti ha detto il poeta anziano, che qualsiasi malattia in sei mesi non può fare grandi sfracelli quindi se ti controlli quelle due volte lì sei più o meno tranquillo, fino alla prossima estrazione ematica, si capisce. La dottoressa che ti passa la mutua, viceversa, ogni visita è una battaglia, non te le vuole proprio prescrivere, le analisi, dice che sei ipocondriaca, che le hai già fatte, lascia perdere, e se le vuoi fare a tutti i costi te le paghi! niente essessenne o sistema sanitario nazionale (ricetta bianca). E meno male che le hai fatte, invece, vedi un po’ qua, uilloco, come diceva il Prof. Crisostomo (dal greco, bocca d’oro) al liceo, ovvero per l’appunto: guarda qua, nel dialetto locale. Insomma, la devi fare la ’nscopia, eccerto, conferma la dottoressa infingarda che ti fa la ricetta speedy, a quel punto: dieci giorni e ce l’abbiamo. Chi. Cosa. Cominci a chiamare alla rinfusa e a protestare al solito tuo quando non ti vogliono dare l’Appuntamento e lei non sa chi sono io, una con la Familiarità e Referto Prioritario e pure la Positività al Sanguocculto, un’eminenza grigia dell’allarme preventivo, DEVO avere l’appuntamento. Ma l’agenda Cup se ne frega delle eminenze grige e anche se risiedi in una città che ne ha duecento, di strutture deputate, no, prima di sei mesi non se ne parla. In sei mesi, dicevamo, il malaccio non può evolvere più di tanto ma qua siamo Positivi, signori, sarà già bello che galoppante. E quindi insistiamo, scriviamo reclami, prenotiamo, noi eminenze grige. Alla fine dobbiamo rassegnarci alla sconfitta, e la sconfitta sul campo, nei fatti ospedalieri, si chiama: intramoenia. Cioè: si paga, assai, danari sonanti. Perché la prestazione anestetica ha un costo e se non vuoi bestemmiare il signoriddio con tutto il calendario appresso mentre ti insufflano l’aria fin quasi all’esofago (che a quel punto le conviene aggiungere la ’stroscopia a soli 400 euro in più, suggerisce mercantilmente l’operatore deputato), devi avere la sedazione e non quella cosciente, no, quella, t’ha detto il fratello che ha già all’attivo due ’nscopie e tre ‘stro, quella là col piffero che è sedazione, quella è una tortura legalizzata, no, no, fatti addormentare. E allora, signora, deve portare esami del sangue aggiornati (uilloco, servivano ordunque!), ECG e anche un accompagnatore, altrimenti gliela fanno a crudo. Ma io sono single, non ho nessuno. Un amico, non ce l’ha un amico. Io gli amici ce li avrò pure ma di quelli a cui puoi dire andiamo a berci una cosa no andiamo a farci una ’nscopia, ovvero io me la faccio e tu mi aspetti fuori altrimenti è a crudo come i carciofini dell’antipasto.
Com’è e come non è, arriva il giorno. Ti svegli presto, prestissimo, il vicino ex medico, pardon, il contrario, l’ex vicino medico che hai incontrato per caso al supermercato e di cui hai subito approfittato per chiedergli il come e il quando e il soprattutto il dove, ti ha suggerito di frazionare la preparazione della bevanda pestilenziale in due round, ma tu hai questa caratteristica, che chiedi a tutti, uno per uno ai venti in totale dottori delle quattro farmacie di zona, fino a quello che voleva solo tornarsene a casa col pollo del banco rosticceria sott’al braccio senza le tue inquisizioni petulanti, e poi, in finale, come dicono i romani non antiqui, è solo della testolina tua che ti servi. Se qua c’è scritto un’unica assunzione protratta, perché dovrei regolarmi altrimenti?

Quando ti hanno parlato della preparazione, tutti, ma proprio tutti (perché a quanto pare a questo mondo un libro di versi magari sì, ma una ’nscopia, nessuno se l’è fatta mancare) hanno mimato il gesto di turarsi il naso, perciò non si può dire che non fossi all’erta. E no, non lo eri, non lo eri affatto. Per rendere il sapore gradevole, recita il bugiardino (nomen etc.), mettere in frigo. Metti in frigo quanto ti pare, guarda, ma se quello è gradevole io sono uno zucchero e il giorno della ’nscopia avrò sotto casa legioni ad accompagnarmi colà, fidanzati, in special modo. Quindi no, gradevole questo pene, abbiate pazienza (lo scrittore della Verità e la biro ci ha spiegato che se parli di sesso dicendo pene e vagina diventa immediatamente meno volgare, proviamo). Effettivamente. No, intendevo: effettivamente, c’è da turarsi il naso. I bicchieri di sbobba feteolente sono almeno una decina, se non li colmi (e come potresti, con quale autolesionismo scriteriato), vanno distribuiti in due ore e alternati ai cosiddetti liquidi chiari, acqua o tisana. Ti chiedi quando mai passeranno, quattro ore in cotal guisa. Invece servono tutte, le quattro ore, perché prendi bicchiere, tura naso, trattieni conati, prepara tisana, bevi tisana, ribevi sbobba, ritura, evacua, ritisana, idrata, evacua, rieccetera, è finito il tempo e pure la purga diocenescampi. Piangi, sì, piangi, perché ora vuoi vedere che non posso manco piangere il giorno in cui devono dirmi Cose e devo pure andarci in perfetta e totale solitudo. Giada, non scherziamo, dice il fratello che segue la manovra preparatoria su WhatsApp sincerandosi che non beva che so della candeggina, e morta lì: letterale. Quelli, capaci che ti rimandano a casa, chiamalo, un amico. A quel punto scatta la sindrome di Verdone a Ferragosto, scena ultranota dell’agendina coi numeri di semisconosciuti in sequenza e tutti che gli dicono I would prefer not to in versione ciociara. In realtà quando nomini l’ospedale la gente è difficile che non ti ci venga, a meno che non ci si trovi già per magagne sue, che mica toccano solo a me, i castighi o stati d’animo del corpo, come li chiamava il tale. Quindi ci viene, l’amico, ma subito lo aggredisci, gli dici che non Deve fare domande, e anche all’infermiere dici: Nessuno Deve Sapere Niente prima di Me, Io sono il Terminale Unico di Qualsiasi Informazione, intesi? E mica lo dici col tono carino e gentile, aggrotti le sopracciglia in corrispondenza delle maiuscole baritonali e hai l’acetone da digiuno di dodici ore più purga, nonostante dentifricio e reiterati sciacqui col bicarbonato. Quindi non al meglio della tua allure, che vai trovando, se poi nessuno ti accompagna. O meglio, uno l’hai trovato, ma ti vuole lasciare lì e tornarsene a lavorare. E in fondo lo capisci, perché tu vorresti fare lo stesso (anche se invero hai sempre un libro con te in ogni circostanza, anzi lo hai fatto tornare indietro, l’amico occasionale, perché lo avevi dimenticato su e siete pure arrivati per un soffio all’appuntamento o pelo pelo, come avrebbe detto il Crisostomo suddetto). Quindi, entra sua maestà il Dottore. Tu quando vedi un camice, è più forte di ogni altra spinta o all’opposto inibizione, hai solo due possibili reazioni all’evento epifanico: aggredisci oppure piangi, non ti ci va proprio di rapportarti in modo civile, adulto, mature come dice Carlo a Mamma Elisabetta in The Crown il giorno in cui si vuole sposare Camilla e lei no no, non se ne parla che ci avete tutto il Reame contro e noi Monarchia come facciamo. Insomma, l’opzione del giorno è la variante anzi la combo di piangere e aggredire insieme, perché lui, sua Maestà il Dottore prova a rassicurarti ma tu nemmeno lo fai finire che gli esprimi distintamente e senza margine di errore che due più due fa quattro anche se hai studiato Letteratura, hai Familiarità e Positività, mica come Carlo, qua la corona è indiscussa, la hai praticamente già in testa ed è una corona di spine, un calvario. A quel punto ti sdraiano. Le ha tolte le mutandine? Scuoti dalla testa l’imbarazzo del no, non le hai, cioè le hai su, non le hai levate. E da dove pensava che saremmo entrati? Questo plurale è nocivo come la vergogna: nessuno deve entrare, a parte lui, sua eminenza il Tubo. Cominci a patteggiare con l’anestesista come dal parrucchiere, sì un po’ di prodotto, grazie, ma non troppo, che non mi spenga del tutto, ma quello per fortuna tua e sua frammiste manco ti pensa, si regola la sua brava e non tanto bella cannula, spiega freddamente che sentirai un po’ di calore un fischio alle orecchie e ti raccomanda di fare bei pensieri, lo dice come fosse conta fino a cento o forse in effetti è proprio così che dice, in realtà basta arrivare a tre ed è lì che stonfi, stecchita, orevuár.

Dilemmi ai quali avresti potuto lasciare campo mentale libero nell’interstellar della sedazione:
01. Quando ci si incontra con gli ombrelli, chi deve cedere il passo?
02. Ugolino, i figli, se li mangia oppure no?
03. Rabarbaro tocca o non tocca?
04. Cosa vuol dire tocca o non tocca nel giochino matematico dei social?
05. Se G che è sposato guarda A e A guarda P che è celibe, possiamo concludere che c’è una persona sposata che guarda una persona non sposata, nell’altro giochino?
06. Chi deve scrivere dopo un messaggio inevaso se il messaggio inevaso è vaff…?
07. Esiste il funerale dei morti ai vivi e se sì, come lo chiamano?
08. Funzioni anche slegato da Google?
09. Qual è il numero giusto dei ravioli nel piatto?
Quando riapri gli occhi la stanza è come il fondo della strada al miope che si ostina a scordarsi le lenti. Poi le cose scontornate si riprendono il netto dei bordi, e le voci al detonatore acquistano il progressivo senso di Signora resti seduta qualche istante e Si può rivestire. Hai ancora sonno, e resta la diagnosi. Non puoi non notare come l’infermiere ti guarda. Ti guarda come l’infermiere guarda il malato, il pasticcere la bomba alla crema, la mamma in procinto di svezzare il non più neonato le pappe. E nondimeno, ti guarda. Fosse una scena di von Trier qualcosa potrebbe accadere, ma questo è un ospedale conforme, normie, che segue la massa come dice il dizionario. L’infermiere ti guarda perché ha il suo preciso compito di scortarti non in un torbido sottoscala per ribadire la pratica anale con godimento reciproco, ma per condurti presso la Stanza. Quando si apre, la Stanza del Dottore che ha il suo preciso compito di refertare, è come l’apparizione di Manfredi nell’Antipurgatorio di Dante. Si avvicina per parlarti, tu ti allontani per non sapere. Ed è lì che alla fine ti riveli in tutta la tua natura di caducità e sintomatico mistero: il camice si slaccia, non avevi ancora tirato su le mutandine ma quello su cui il Dottore fissa lo sguardo è il mistero senza fine brutto del volto spaurito di portatrice di camice penzoloni che ride e poi piange e poi di nuovo ride e piange, e ricomincia.
Non riesce ad alzarsi, la aiuto? Dice l’infermiera. Ti prende sottobraccio, bussa lei alla porta, il Dottore è seduto, ha i fogli pronti, dovrai solo saldare il conto, e andare.
10. Sì ma a cosa serve, si chiede Malone che (non) muore.
