Non sono mai andato d’accordo con quelli che, ricordando il loro passato, sono tutto un “quello era il mio periodo reggae”, “ah vabbè ma non fa testo, era il mio periodo Wes Anderson”, “lì ero in pieno periodo paninaro”, eccetera. Li trovo imbarazzanti. A me quello che è piaciuto una volta nella vita poi mi è piaciuto per sempre. Più difficile invece mantenere l’intensità delle sindromi di Stendhal, di certe rare vertigini per opere che ti cambiano la vita. L’innamoramento, si sa, è un sentimento transitorio come l’estate. Ma i Baustelle sono un’eccezione. Avrei voluto fare un’intervista distaccata e ironica, ma non c’ho nemmeno provato. È dal Sussidiario Illustrato della Giovinezza che per me i Baustelle sono la bussola di come un artista deve essere. Duro e puro, che mira alla Luna, fa i conti solo con sé stesso e non insegue nessun consenso. Ascoltare per la prima volta le canzoni di El Galactico mi ha provocato quel sense of wonder che oggi faccio sempre più fatica a trovare e che, invece, è un appuntamento fisso per ogni disco dei nostri. Mi ricorda quando, da bambino, aprivo un numero di «Zagor» trovato in qualche busta sorpresa, e venivo catapultato nella foresta di Darkwood, spesse volte in mezzo agli indiani, qualche volta agli alieni, agli scienziati pazzi, oppure in storie di vampiri, robot giganti o tribù preistoriche. Non importa cosa e chi incontravo, ma ogni volta rimanevo ammaliato.
Nei vostri venticinque anni ho vissuto lo scorrere delle stagioni. L’estate accecante del Sussidiario, un settembre pensoso con La Moda del Lento, poi l’autunno plumbeo dei ritratti di La Malavita e Amen, quindi un inverno visto da un salotto in mogano nei Mistici dell’Occidente e un inverno che, come la Morte Rossa di Poe, penetra in quel salotto in Fantasma. Quindi la luce delle mattine d’aprile che s’intravede dalle tapparelle in L’Amore e la Violenza Vol. 1. E poi una nuova estate, violenta e sensuale, iniziata col Volume 2 e che continua indefessa da tre dischi. È un azzardo vederla così?
No, non credo che sia azzardato. È un’interpretazione plausibile. Vivo un momento evidentemente solare della mia vita. Ma non è solo questo: sono affascinato più che in gioventù dai mesi estivi perché anche narrativamente li trovo più densi di significati. L’estate, quando ero un ragazzo, e all’inizio della mia carriera di autore di canzoni, era un fondale, una cartolina. Un modo per ambientare delle storie. Adesso mi rendo conto di quanto sia diventata essa stessa personaggio, correlativo oggettivo delle mie emozioni, eroe o antagonista di tutte le storie possibili, ma comunque da protagonista. Perché è come se avessi capito che l’estate è in fondo la stagione in cui tutte le contraddizioni dell’esistenza sono meglio incarnate.
In ogni estate c’è un po’ di morte, cantavi già in “Réclame” una vita fa. Ma a proposito di contraddizioni, in El Galactico i testi che affrontano tematiche cupe si intrecciano con melodie luminose e solari: potremmo definirlo un disco scintillante ma dal cuore di tenebra. È un contrasto che vi ha sempre caratterizzati, ma qua sole e tenebre appaiono particolarmente agglutinati. Cosa ti ha portato a spingere in questa direzione? So che prima di scrivere i testi componete le musiche.
Sì, la regola è di solito cercare di chiudere armonicamente e melodicamente il pezzo. Per non avere nessuna interferenza con la metrica della lingua italiana. In questa prima fase di scrittura della canzone siamo dei musicisti: vogliamo sentirci liberi di andare in tutte le direzioni che la nostra creatività in quel dato momento ci accende. Senza alcun tipo di condizionamento (un concetto, il suono o la cadenza della lingua italiana, ad esempio). Fissata la musica, e in molti casi persino l’arrangiamento, comincia il mio lavoro di scrittura di testi: mi trovo davanti una gabbia, una struttura ben definita metricamente. E la sfida, come in un cruciverba, è riempire con delle parole questi spazi vuoti. Può sembrare molto poco poetico, ma per me è uno dei massimi piaceri del lavoro di scrittura di una canzone. Cerco di non cambiare mai la melodia già scritta, preferisco adattare le parole. Quando il testo è pronto, quando le caselle metriche sono riempite, Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti