Temo che quanto sto per scrivere possa essere letto come terribilmente poco femminista e solidale, anzi, ho paura che qualcuno possa trovare le prossime parole decisamente misogine. Correrò il rischio e le scriverò ugualmente: i rapporti tra donne possono essere angoscianti, deludenti, fonte di enorme infelicità e frustrazione. Voglio sbilanciarmi: anche i rapporti tra donne che si definiscono femministe possono essere angoscianti, deludenti, fonte di enorme infelicità e frustrazione. Come dimostra l’ultima querelle social a proposito di una fuga di notizie da una chat Telegram contenente insulti ad attiviste femministe piuttosto note – in particolare, Valeria Fonte e Carlotta Vagnoli – non sono l’unica a pensarla così. Tra le parole spese a proposito di questo ennesimo episodio interno a una bolla di persone che scrollano Instagram in cerca di distrazioni dalle seccature di tutti i giorni, spiccano le manifestazioni pubbliche di solidarietà e di indignazione: com’è possibile che qualcuno si sia permesso di condividere cattiverie e battute infelici? È davvero concepibile avere pensieri meschini, antipatici e negativi? Sarebbe successa la stessa cosa se gli scriventi si fossero ritrovati davanti a una birra? La discussione collettiva sembra stabilire una divisione netta tra quei new media mortiferi e corruttori di anime che sono i social e il confronto vis-à-vis. I fattori che determinano una differenza tra quanto diciamo al bar e ciò che scriviamo in una chat sono la riproducibilità della dinamica social – lo screenshot, l’origine di tutti i mali –, l’impossibilità dell’oblio e una dimensione semipubblica ai cui numeri esorbitanti non riusciamo ad abituarci. Ma se la verità fosse che anche le influencer femministe possono essere angoscianti, deludenti, fonte di enorme infelicità e frustrazione?
Il problema è che di influencer femministe ne esistono tante, tantissime, effettivamente troppe, e diventa difficile, per una donna, non interagire con una fetta così grande del proprio genere.
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