Lo sciopero degli sceneggiatori statunitensi potrebbe sembrare una questione che riguarda un ristretto gruppi di privilegiati. In fondo sono meno di dodicimila persone in tutto, con una grande influenza sui media e la capacità di avere un impatto immediato sulla vita quotidiana della nazione: le conseguenze sulle serie tv si vedranno più avanti, ma intanto i comedy show, dal Late Show di Steven Colbert al Saturday Night Live, si sono già fermati. Nell’immaginario comune quella dello sceneggiatore è una carriera difficile da intraprendere ma molto remunerativa per chi ha successo, e forse per un certo periodo è stato vero: fino ancora a una decina di anni fa, ai tempi di Mad Men e Breaking Bad, scrivere per la televisione poteva portare a grandi guadagni e grandi soddisfazioni professionali. Per alcuni è ancora così, probabilmente, ma per la maggioranza le cose si sono fatte più complesse. 

In questi giorni sono emerse testimonianze inquietanti: Aly Monroe, sceneggiatrice di The Handmaid’s Tale, nelle pause tra una stagione e l’altra non arriverebbe a fine mese se non potesse contare sullo stipendio regolare della sua compagna; Alex O’Keefe, pur assunto nella writer’s room di The Bear, una delle serie di maggior successo del 2022, era costretto a vivere  in un appartamento privo di riscaldamento. Secondo i rappresentanti della Writers’ Guild of America, infatti, qui non si tratta solo di aggiustare i compensi, è necessario scongiurare il rischio che la sceneggiatura non sia più né una professione né una carriera, ma diventi un secondo lavoro da fare a chiamata, come il rider o, beh, il giornalista. Anche se le questioni sul tavolo sono molto specifiche, quindi, in realtà lo scenario sullo sfondo assomiglia a quello di tante altre categorie di lavoratori: le innovazioni tecnologiche hanno radicalmente modificato il settore e creato delle zone d’ombra prive di regolamentazione, che le aziende sfruttano a proprio vantaggio scaricando il più possibile costi e rischio d’impresa sui lavoratori.

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© James Devaney / GC Images

Ad esempio, le cosiddette mini-rooms: le tv tradizionali, di norma, decidevano se ordinare una serie sulla base di un episodio pilota, approvato il quale si costituiva una writers’ room, ovvero un gruppo di (almeno) sette/otto sceneggiatori incaricati di scrivere gli episodi successivi, ingaggiati con delle garanzie contrattuali stabilite negli accordi con la WGA (durata minima, scatti di anzianità, proporzionalità tra budget complessivo e compensi, e così via). Ma questo sistema era pensato per serie da 22 episodi a stagione, da trasmettere nell’arco di sette o otto mesi. Con l’avvento degli streamers le stagioni si sono ormai ridotte a una decina di episodi, pubblicati tutti insieme o nel giro di due/tre mesi. Invece di girare un costoso pilot, per testare la solidità di un’idea si assolda un piccolo gruppo di sceneggiatori, una mini-room, con il compito di aiutare uno showrunner a scrivere i primi episodi e a delineare le trame stagionali. Se il progetto viene approvato, la serie viene prodotta in blocco. Il problema è che in questo sistema gli sceneggiatori non hanno praticamente nessuna garanzia: ricevono la paga minima, spesso non vengono richiamati quando la produzione viene approvata, non acquisiscono esperienza, non progrediscono nella carriera.

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