Un secolo fa, Vito Giuseppe Galati, dimenticato intellettuale d’area popolare e padre costituente democristiano, scriveva su La rivoluzione liberale di Gobetti “Machiavelli su misura”, memorabile e mordace articolo sugli usi e – soprattutto – gli abusi politici dell’opera del segretario fiorentino. All’epoca, Gobetti aveva schierato la sua rivista contro la fascistizzazione di Machiavelli, consacrata dal “Preludio al Machiavelli” firmato da Mussolini su Gerarchia. Il Machiavelli su misura era allora quello “bellico”, amorale, in salsa nietzschiano-spengleriana, di Mario Mariani (Il ritorno di Machiavelli. Studi sulla catastrofe europea, 1916) e quello “postbellico”, in rapida via di conversione allo Stato “organico” fascista, sancita di lì a poco da Francesco Ercole nel suo La politica di Machiavelli (1926). Come Galati riconosceva, di Machiavelli su misura ce n’erano già stati molti. Andando a ritroso nel tempo, c’erano stati, tra gli altri, il Machiavelli risorgimentale e patriottico di Pasquale Villari e soprattutto dei Sepolcri di Foscolo, non più maestro dei tiranni ma “sfrondatore” di scettri, il quale a sua volta proveniva dal Machiavelli illuminista di Rousseau, non maestro dei tiranni ma pedagogo dei repubblicani e monarcomaco avant la lettre. C’era stato il Machiavelli della “ragion di Stato”, condannato (a parole) da Federico II di Prussia. E prima di arrivare al Machiavelli diabolico – scomunicato in condominio dalla Riforma e dalla Controriforma – c’era ancora da percorrere la tappa – in verità, già una riabilitazione – del repubblicanismo inglese. Del resto, qualsiasi interprete minimamente avvertito non può non riconoscere che lo stesso Machiavelli si era cucito addosso diversi vestiti – sia teorici che politici: più oligarchico, probabilmente, nella prima parte della sua vita, repubblicano (tendenza Soderini) negli anni della segreteria, aspirante mediceo (con alterne fortune) dopo il 1512. Non c’è niente di male a dirlo: non lo si accusa di voltare gabbana, caso mai di essersi sforzato di agire nei tempi tribolati in cui gli capitò di vivere e di aver cercato di intenderli.

Il Machiavelli su misura dei nostri tempi è “populista”, “moltitudinario”, “repubblicano plebeo” e “democratico radicale”

La moda, comunque, non è passata. Il Machiavelli su misura dei nostri tempi è “populista”, “moltitudinario”, “repubblicano plebeo” e “democratico radicale”. Basta leggere i titoli pubblicati da alcuni dei più riconosciuti (e acuti) interpreti degli studi machiavelliani contemporanei: Reading Machiavelli: Scandalous Books, Suspect Engagements, and the Virtue of Populist Politics di John McCormick, Machiavelli in Tumult. The Discourses on Livy and the Origins of Political Conflictualism, di Gabriele Pedullà, Machiavelli and the Politics of Democratic Innovation di Christopher Holman (tutti del 2018). Ce n’è per vedere un’autentica svolta, e per chiedersi (come, candidamente, fa lo stesso McCormick) perché il mainstream degli studi machiavelliani non si sia accorto prima delle posizioni radicali o persino “populiste” (di sinistra, sia chiaro) del segretario fiorentino. Forse le cose non stanno proprio così: forse

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