Non capita spesso che un libro pubblicato nel 2024 faccia cambiare idea su un libro (e alcune cose che gli giravano attorno) del 2011: mi è successo con Demone custode, appena uscito sottotraccia per la collana «Interzona» di Polidoro. Il suo autore Paolo Sortino è riaffiorato dopo due romanzi (Elizabeth, di cui appunto nel 2011 molto si parlò, e Liberal del 2015) e un lungo silenzio, durante il quale ha pubblicato un paio di racconti interessanti in antologie dove era importante comparire negli anni Dieci, fatto l’autore televisivo per Chi l’ha visto?, allevato cani e molto altro. In poche parole, che non danno minimamente giustizia al contenuto, Sortino ci offre una specie di resoconto della sua vita fino alla conclusione della maturità, raggiunta a Napoli con moglie e una figlia.
Il libro si apre con un avvicendamento consueto in questo tipo di formazione: la nascita della famiglia coincide con la morte della madre. La sua scomparsa apre e chiude il libro, non è accolta dal lutto ma da una spiazzante estraneità. E se l’incipit così d’impatto («Mia madre è morta e non provo nulla. Nessuna croce da portare») non può non ricordare l’asettica apertura di Lo straniero di Albert Camus («Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so»), i paralleli finiscono qui. L’assurdità interiorizzata di Meursault, che esplode nell’angoscia di una confessione concessa prima di salire al patibolo per omicidio, qui si trasforma nella percezione che la morte sia l’unica garanzia dell’individuo, e quasi un rifugio («Non uscirò da questa tomba finché avrò vita»). Una sgargiante iconografia mortuaria percorre un po’ tutto Demone custode: la percezione della propria labilità non è più qualcosa che paralizza e spoglia il soggetto dei propri assoluti, quanto piuttosto una condizione di partenza per un’affabulazione euforica, costantemente sopra le righe, serenamente nichilista. Prima che Camus, si avverte qualche eco dell’ultimo Nietzsche – quello già vicino ai territori della pazzia. Torna per esempio il senso di onnipotenza mal controllato, senza contare i ripetuti autoritratti come Gesù, martire e profeta, che indicano in Ecce homo un possibile antenato nobile: «Cristo ed io, io e Cristo, siamo dalla parte della natura. La nostra natura, la natura mia e vostra è quel che è, e va bene così. Con tutti i suoi limiti e le sue aberrazioni, è capace di rivoluzionarsi se solo lo desidera».
In coerenza con le sovrapposizioni cristologiche, serpeggia in Demone custode la necessità di proferire un giudizio definitivo, emesso da una dimensione lontanissima, che garantisca all’autore la salvezza
Sortino ci offre una specie Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti