C’è in letteratura una serie di testi nei quali la memoria, intesa non tanto come insieme dei ricordi ma come struttura che li trascende, è allo stesso tempo oggetto di riflessione e forma costitutiva della scrittura. Ne parla tra gli altri Enzo Siciliano, ricordando soprattutto Leopardi e Proust, in un saggio dal titolo La memoria e la letteratura, contenuto negli atti di un convegno organizzato dall’Accademia dei Lincei nel 1995 (Memoria e memorie, Olschki 1998). Ma prima di lui Ungaretti aveva ricostruito una tradizione, tutta e solo poetica, che muovendo da Petrarca e attraverso Leopardi arrivava a Sentimento del tempo. Qui, tuttavia, interessa la narrativa e in particolare appunto l’opera di Annie Ernaux. E se è da Proust che necessariamente muove la narrazione memoriale novecentesca, Ernaux ha più volte affermato di sentirsi lontana dalla sua opera per due ragioni: perché ritiene irrinunciabile il connubio di memoria individuale e memoria collettiva e perché crede che la ricostruzione memoriale testimoni la storicità e la frammentarietà di ogni esistenza e non abbia dunque alcun potere di restituire alla vita una sua dimensione di assolutezza e permanenza – che è invece la fede di Proust. È in ragione di queste differenze che si determina il posto peculiare della scrittrice francese nel filone di cui sto parlando. D’altra parte l’impossibilità di una ricomposizione unitaria e l’avvertimento della disorganicità del recupero memoriale si possono riconoscere in altri grandi testi riferibili a quella tradizione. Così Vladimir Nabokov in Parla, ricordo destruttura la propria autobiografia in ritratti ed episodi fissatisi nella memoria per forza di immagini, e Iosif Brodskij, in Una stanza e mezzo, rifugge ogni ricomposizione cumulativa e generalizzante, che tradirebbe la verità sui suoi genitori, depositatasi in lui in frammenti di passato. E a nessun’altra forma di coesione che non sia stilistica affida il recupero memoriale Winfried Sebald, che rinuncia con l’unità anche a ogni gerarchia dell’esistente, assegnando agli “spasmi della mente”, di cui si costituisce la memoria, un ruolo di salvazione che riguarda ogni esistenza che si va perdendo, di uomini, di animali, o di cose. In Ernaux tuttavia la rinuncia alla struttura non è solo rispetto dei reali processi memoriali nella loro incoerenza ma anche della condizione sociale di cui la memoria si fa testimone.
«Tutte le immagini scompariranno» si legge in apertura a Gli anni (Les années, Gallimard, 2008; L’orma, tr. it. di L. Flabbi, 2015). Disparaîtront. “Scompariranno”, non sono ancora scomparse;
Questo contenuto è visibile ai soli iscritti
Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.