Nel 2016 ho pubblicato l’unico fra i miei libri che abbia raggiunto un decoroso traguardo di vendite. Non è stato merito mio, dell’editore o dell’ufficio stampa. È successo perché Michela Murgia ne ha parlato in tivvù. 

Mi rendo conto che un preambolo del genere odora di tabella creditizia, questo deve sciogliere i debiti. Invoco dunque la Prescrizione e dico: l’ultimo libro di Murgia (Tre ciotole, Mondadori) mi ha messo con le spalle al muro.

Intanto perché da qualche anno Murgia con le sue battaglie ha esaurito la mia capacità di attenzione. La colpa è esclusivamente mia. Per l’attivismo e l’opinionismo e l’influencerismo e il pedagogismo e tutto il resto vado come per la politica: se occupi la scena da qualche mese hai il mio pieno e spregiudicato interesse, passano gli anni e comincio a vedere soltanto l’occupazione della scena. Quando una voce pubblica diventa ineluttabile io comincio ad andare in sofferenza. A maggior ragione se quella voce appartiene a uno scrittore. 

Che esista un dilemma incontrollabile di mercato-marketing legato alla separazione tra Opera e Autore (dove tutto si sposta su quest’ultimo e nessuno pare più in grado di giudicare un’opera) non serve ricordarlo. Che poi occupare una posizione di preminenza nel panorama intellettuale italiano non sia un demerito è ovvio – io qui discuto piuttosto come e se uno scrittore si confronta, collabora o si disincastra dal meccanismo. E il meccanismo è quello per cui si mettono insieme le coordinate del «racconto di sé» anche spudorato e anticonvenzionale – quest’ultimo senz’altro interessante – con la postura più deprimente del marketing editoriale. 

Su Tre ciotole, il primo giudizio di valore arriva da Aldo Cazzullo: il libro è «splendido». Segue la Domanda Universale: «C’è qualcosa di autobiografico?». Fin qui siamo nel trend più consumato, i libri che escono sono tutti splendidi, magnifici, strazianti, tesissimi, ecc. ecc. Cioè da una parte abbiamo accantonato la critica «seria» di ciò che si scrive e pubblica in Italia, dall’altra però pretendiamo intellettuali «corsari» alla Pasolini, capaci di dialogare a tutto campo (vanno forte invettivismo e jaccusismo) col-potere-col-pubblico-con-le-istituzioni: «Mi sono trovata» ha detto Murgia, «con pochi altri scrittori come Roberto Saviano, a supplire all’assenza della sinistra, a difendere i diritti e le libertà nel dibattito pubblico».

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