La morte è un evento che ci accomuna tutti ma assume un significato diverso nel momento esatto in cui le varie culture la affrontano e le attribuiscono un valore simbolico nei riti che accompagnano il passaggio. Tale approccio culturale implica, da un lato, un’analisi dei cerimoniali di lutto e delle immagini che si associano loro, dall’altro, la questione della fine nel campo della memoria individuale, per creare uno spazio personale caratterizzato dal dolore. Le immagini con cui la fine viene documentata rappresentano un interessante momento di ricerca antropologico, ma non solo: ci mettono di fronte a una realtà oggettiva e raccontano di noi, della nostra memoria.
Nell’ambito del festival di fotografia di Cortona On the Move, This Is The End (a cura di Paolo Woods e Irene Opezzo), è una mostra insolita, un viaggio visivo attraverso la morte e la sua rappresentazione, composta da opere molto diverse tra loro, che variano dal documentario al concettuale. Le immagini sono estratte da archivi storici o fanno parte di lavori di artisti (queste ultime sono le più interessanti, perché mettono in discussione la percezione e il significato della morte secondo il senso comune, ponendoci di fronte a ciò che non siamo più abituati a elaborare, a ricordare). Tutti i lavori hanno un forte impatto emotivo che va oltre l’immagine, costruiscono uno spazio che cambia per ogni visitatore perché, questo spazio si adatta alla sua percezione emotiva.
Confesso che ero indeciso se entrare o no a visitare questa mostra per questioni personali, ma una volta attraversata la soglia la prima immagine stampata in grande formato che ho incontrato con lo sguardo mi ha trasportato in un’altra dimensione. La fotografia è l’autoritratto di un grande artista, Duane Michals, che ritrae sé stesso mentre si osserva adagiato su un lettino. Una doppia esposizione dal titolo emblematico. Self Portrait As If I Were Dead. Questa immagine trasforma la morte in uno spazio soggettivo in cui due tempi apparentemente lontani tra di loro ci appaiono ravvicinati in modo quasi innaturale: possiamo osservare noi stessi morti solo attraverso un salto dell’immaginazione. Attraverso la morte diventiamo coscienti del nostro essere al mondo.
La seconda immagine è una figura simbolo che ci trasporta invece in una dimensione collettiva: l’ultima fotografia di Ernesto “Che” Guevara, un’icona storica. Si tratta dell’immagine del suo cadavere scattata poco dopo la sua esecuzione in Bolivia, il 9 ottobre 1967. Una volta catturato dall’esercito su ordine del governo boliviano, con il consenso degli Stati Uniti, fu giustiziato senza processo.
La fotografia è nota per il suo forte impatto visivo, con il volto del Che che appare sereno, quasi come stesse riposando, il che ha portato molti a fare paralleli con l’iconografia cristiana, in particolare con Lamento sul Cristo morto, uno dei più celebri dipinti di Andrea Mantegna
Dopo la sua morte, il corpo di Che Guevara fu
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