Oltre a coincidere nell’immaginario comune con lo scultoreo fondoschiena di cui Madre natura l’aveva generosamente munita, Nadia Cassini finì per formare un’inscindibile endiadi anche con la propria voce: quella parlata così potentemente caratteristica degli americani che cercano di venire a patti con l’idioma di Dante. Quasi una parodia, al contrario, dell’americanese che suonava in bocca all’Alberto Sordi/Nando Mericoni di Un giorno in pretura. L’inflessione della Cassini non era affatto scontato che funzionasse sull’attrice; difatti, nei ruoli ricoperti al cinema in Italia, fino a un certo punto fu sempre doppiata: da Ludovica Modugno, da Maria Pia Di Meo, da Flaminia Jandolo, da Serena Verdirosi, le stesse voci incollate a Gloria Guida, a Edwige Fenech e alle altre regine della sexy commedia anni Settanta, cioè del genere dei generi che presiedette alla grande e vera messa in luce di Nadia.

Poi, un giorno – già alle soglie degli anni Ottanta, quando la Cassini era ormai stata assunta stabilmente tra le dive del filone – a qualcuno balenò l’intuizione che lasciarle la sua voce potesse essere un’ulteriore chiave di volta del personaggio: accadeva in La dottoressa ci sta col colonnello, una pochade diretta nel 1980 da Michele Massimo Tarantini, dove le inventarono il ruolo ad hoc di una luminare statunitense nel campo dei trapianti, giunta in Italia per un convegno e subito scatenante, non appena le posa gli occhi addosso, la libidine del collega colonnello medico Lino Banfi. Al quale lei si rivolge, falso-ingenua, svampita e sorridente come d’abitudine, appellandolo “coglionello”. Leggenda narra che il tutto fosse nato da una gag reale sul set: l’attrice doveva pronunciare “colonnello”, ma le uscì tale storpiatura. Tarantini capì subito che il calembour doveva essere mantenuto, ovviamente, e Nadia Cassini divenne, allora e per sempre, quella sorta di scultura vivente che blandiva Banfi “coglionello”. Nel canone della sexy commedia maggiore o “ginecommedia”, come ebbe a definirla Giovanni Buttafava, la Cassini era entrata, trionfalmente, grazie a L’insegnante balla… con tutta la classe, di Giuliano Carnimeo, del 1979, cui era subito seguito L’infermiera nella corsia dei militari, di Mariano Laurenti.

All’indomani del “coglionello” di Tarantini, l’attendevano al varco ancora quattro incarnazioni del desiderio, prima che Nadia decidesse di evadere dal perimetro del cinema: fu una Giovanna d’Arco nel Miracoloni di Francesco Massaro, fu Tutta da scoprire, di nuovo per Carnimeo, quindi L’assistente sociale tutta pepe e tutta sale, agli ordini del geniale Nando Cicero, e infine una delle tre Giovani, belle… probabilmente ricche (insieme a Carmen Russo e Olinka Hardiman) nella pellicola di Michele Massimo Tarantini del 1982 che chiuse i giochi nello stesso tempo del filone comico-sexy “classico” e della carriera su grande schermo di Gianna Lou Müller, dettasi Nadia Cassini, che trent’anni più tardi avrebbe icasticamente compendiato il proprio percorso nella vita e nello spettacolo, dichiarando: «Avevo il sedere più bello del mondo, ma nella vita non ho avuto culo…».

Avviatasi prestissimo alla recitazione, a quindici anni sostenne il suo primo ruolo in un adattamento della Cieca di Sorrento, dovendo tuttavia combattere con i familiari che la ostacolavano a intraprendere la loro stessa strada

I casi che avevano condotto Gianna Lou Müller da Woodstock (dove nacque il 2 gennaio del 1949) in Italia, all’inizio degli anni Settanta, furono conseguenza delle sue variegate vicende sentimentali. Figlia di un padre

Questo contenuto è visibile ai soli iscritti

Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo.

Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.