Quando, alla fine di Civil War di Alex Garland, i soldati secessionisti che hanno fatto irruzione nella Casa Bianca stanno per uccidere il presidente degli Stati Uniti, il giornalista Joel (Wagner Moura) dice loro di fermarsi un attimo perché possa raccogliere le ultime parole del morituro ma, soprattutto, perché possa arrivare la fotoreporter Jessie (Cailee Spaeney) a immortalare l’esecuzione. Viene in mente quanto si vociferava fosse successo nel 1964 durante le riprese di Africa addio, quando Gualtiero Jacopetti avrebbe bloccato temporaneamente un’esecuzione per sistemare meglio le luci e la macchina da presa. “L’Espresso” e “l’Unità” montarono una campagna contro il filmmaker fascio-razzista-colonialista, che andò addirittura in tribunale per “concorso in omicidio commesso all’estero”; ma venne assolto perché dimostrò – a malincuore – che non c’era nulla di vero, era tutta una messa in scena, e aveva raccontato a bella posta la storia della fucilazione interrotta per dare allo spettatore il brivido della morte in diretta. Nel caso di Civil War ci troviamo di fonte a film distopico e dichiaratamente finzionale, che però gioca su un analogo adescamento dello spettatore, invitato a vivere la tragedia come spettacolo. Si può rimandare di qualche secondo un’esecuzione non per confortare il condannato, ma per scattare una bella foto.

Certo, Garland fa esattamente il contrario di Jacopetti: non solo gioca a carte scoperte, ma intende riflettere in modo esplicito sulla rappresentazione della violenza, sulla sua fascinazione, sul bisogno e la redditività delle immagini del disastro. Leggo che molti comuni spettatori, specie negli Stati Uniti, sono rimasti indignati e spiazzati non dall’esecuzione interrotta ma dal fatto che la causa della guerra civile, la secessione di Texas e California, non viene mai spiegata – come invece succedeva in altri film distopici (per esempio il satirico La seconda guerra civile americana [1997] di Joe Dante, realizzato per la televisione). Ma conoscere i motivi di una guerra, per Garland, è secondario:

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