Se la prima stagione di Ancient Apocalypse aveva scatenato un fiume di contestazioni, la seconda conduce la retorica della fantarcheologia là dove nemmeno il più sfrenato youtuber formatosi tra colonne di Martin Mystére e ore di video di Corrado Malanga oserebbe spingersi. La conduce in un luogo in cui lo scetticismo viene soppiantato da una dialettica spudorata. Più sinteticamente: Graham Hancock sono trent’anni che spara cazzate, ma prima le articolava meglio. Adesso sembra che basti supporre l’ingenuità della platea di riferimento per asserire qualsiasi scemenza, col solo accorgimento di lasciarla travestita da insinuazione. 

Se nella prima serie di episodi (otto, contro i sei attuali, dedicati esclusivamente a ricognizioni sul territorio americano) Hancock sfoggiava la postura del giornalista scettico nei confronti delle discipline “ufficiali” (lui dice sempre: l’archeologia ufficiale, come se gli archeologi fossero una setta con finalità oscure, piani segreti e relativi protocolli, nell’atteggiamento generale ricorda un po’ Alessandro Di Battista, nel senso che gli sottoponi i Protocolli di Kyoto e quello magari si mette a pensare che li abbiano scritti i Savi di Sion, ma vabbe’), qui nella seconda stagione prende una posa diversa, quella perfino commovente dell’umarell che bazzica intorno ai cantieri per dire la sua. Solo che lui bazzica siti archeologici.

Direi che è giunto il tempo di abbandonare le strade maestre di questo “complottismo ufficiale” che ormai suona esso stesso piuttosto dogmatico, per batterne di nuove. Magari un complottismo “alternativo”. Magari un complottismo che studia

Il fascino della letteratura fantarcheologica sta negli arizgogoli della fantasia che prova a subornare la scienza (Kolosimo, von Daniken, Bauval, Sitchin, la costellazione del genere è chiara a chi pratica anche di striscio queste faccende). Hancock ha speso trent’anni a cercare qualcosa di cui non ha mai trovato uno straccio di prova: un’antica civiltà avanzata perduta, spazzata via dagli sconvolgimenti del Dryas recente. Lui sostiene che «non si è scavato abbastanza» (abbiamo dunque scavato abbastanza per trovare dinosauri, senza però incappare mai in questa latentissima civiltà dell’ultima era glaciale). I colleghi e gli antesignani di Graham Hancock hanno trascorso mezzo secolo a passarsi di libro in libro le medesime costruzioni congetturali (Orione, le piramidi non sono tombe, gli antichi non sapevano tagliare/spostare/innalzare/pensare blocchi di pietra di varie tonnellate). Direi che è giunto il tempo di abbandonare le strade maestre di questo “complottismo ufficiale” che ormai suona esso stesso piuttosto dogmatico, per batterne di nuove. Magari un complottismo “alternativo”. Magari un complottismo che studia.

Ancient Apocalypse fase due va nella direzione esattamente opposta. Se nella prima stagione il refrain era «gli archeologi si rifiutano di considerare le mie teorie», ripetuto a ogni inizio puntata, qui il mantra è un altro, ripetuto ogni dieci minuti circa: «E allora perché non dodicimila anni?». Hancock parla con un’archeologa residente sull’Isola di Pasqua

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