Adesso vanno le storie di scopate o le storie nella provincia italiana così lei si procura una serata con un tizio di Giulianova. Si chiama Tommaso. Giacomo, forse. Lei si chiama Franca. Al tempo dei suoi genitori suonava come un nome anarchico, adesso è un nome da vecchia. Questo è solo uno dei motivi per cui Franca è incazzata. Incazzata a bestia.
Anni fa ha pubblicato un romanzo, prima una raccolta di racconti, è brava ma è difficile. Brava. Difficile. Lei è soprattutto incazzata.
Escono a bere una birra in un posto che non ha mai frequentato e passa tutta la sera a guardarsi intorno sperando di non incontrare nessuno. Ogni tanto si copre la faccia con la mano o tossisce, quando crede di aver visto un amico, ma lì, in quel bar fichetto, non può esserci nessun amico. Passa qualche ora a toccarsi la faccia e a tossire di fronte a uno sconosciuto che si chiama Tommaso.
Che faccia ha lui? Chi può dirlo. Una faccia su cui non si sarebbe mai imbattuta, se non fosse stata così incazzata. Una faccia normale, ma non abbastanza, una faccia che non potrà contagiarla con la sua normalità perché non ne ha abbastanza. Una faccia che non serve a Franca. Non serve al nuovo romanzo di Franca.
Fa il designer e sul telefono ha foto di bottiglie dalle forme improbabili, ma soprattutto banali. Lei cerca di provare interesse, indica alcune bottiglie, pensa Sono morta. Sono tutte uguali. Sono morta. «Questa sembra semplice, ma non lo è, vedi?». Agita il dito in forme sinuose nell’aria. «Per raggiungere questa linea semplice, si lavora una vita». Lui sorride. Sorride a Franca. Il sorriso di lui disegna il profilo di una bottiglia, semplice.
Piove, e non è il peggio che potesse capitare. Il dialogo ne viene in qualche modo rianimato. Guardano la pioggia attraverso una vetrata elegante, da cui scendono foglie di pothos troppo lucide, e a un certo punto lui le tocca il naso, veloce, come se stesse toccando una bambina. Quasi rovescia il vino. Franca avrebbe voluto che lo rovesciasse del tutto, ma la serata ha una piega mediana, energia zero, per cui il bicchiere non ce la fa a rovesciarsi. «È un bel naso», dice. «Non è bello», dice Franca. «È particolare», dice Tommaso e Franca non capisce “particolare”. Capisce “difficile”.
Arrivano davanti al palazzo che è buio e Franca non ha idea di cosa fare. Lui le ha solo toccato il naso. Nel giro di tre ore non è successo altro. È palese che lui voglia finire a letto, eppure non c’è chimica, non la sente nemmeno Tommaso e su questo Franca non nutre il minimo dubbio. Sono entrambi lì controvoglia. Li aspetta un sesso culturale, pessimo sesso tra un designer e una scrittrice. «Abiti qui?» le chiede lui indicando il cancello. Ha l’aria terrorizzata. Davanti al cancello sostano due strani figuri.
Non sono gli editori di Franca, né i committenti di Tommaso, per quanto abbiano l’aria di sequestratori. Sono quelli di Lotta Comunista. A quest’ora? Brandiscono il loro giornale e chiedono: «Possiamo entrare?». È mezzanotte e quelli ancora girano con il loro giornale. Resistenti, e difficili.

«Potete, ma non ci sono comunisti in questo palazzo. C’è solo un’anarchica». Sorride a entrambi allusiva, con aria di sfida. Sulla guancia sinistra le si scava una fossetta. Capiscono e sorridono anche loro. Tommaso, Giacomo, non capisce un cazzo. Ha l’aria di chi ha appena fiutato un pessimo odore, così spinge il cancello e i due di Lotta Comunista ci sgusciano dentro. Sono molto eleganti, come se fossero vestiti in bianco e nero. E in effetti è così che li vede Franca, allo sfarfallio della luce, si stagliano sul pianerottolo davanti all’ascensore come due reduci di un’altra epoca a cui sia capitato di precipitare proprio lì. Franca sarebbe tentata di rimanere fuori e chiuderli nell’atrio del palazzo per vedere come se la cavano, se Giacomo rifilerebbe anche a loro la storia delle bottiglie, se toccherebbe anche a loro il naso. Ma non lo fa. Ora – le ha detto il suo editore – è una donna adulta. Le donne adulte capiscono la situazione e si comportano come ci si aspetta che si comportino. Si divertono poco. Comunicano messaggi, tendono la mano. Non chiudono tre sconosciuti in un atrio, non scappano, non sperimentano. Fanno sesso con Giacomo. È questo il motivo per cui non ha senso scrivere storie difficili. «Vuoi urlare nel vuoto?» ha chiesto l’editore a Franca. «A nessuno frega un cazzo della tua voce».
Gira la chiave della porta di casa mentre quelli di Lotta Comunista bussano all’appartamento di fronte. A quest’ora? Nessuno arriva e loro guardano Franca, Franca che chiude la porta dietro di sé dopo aver fatto entrare Tommaso. Dice a Giacomo di andare avanti e la riapre appena, giusto perché i due comunisti le vedano gli occhi. Ride e gli occhi ridono. Prova a spalancarli in una forma che sia seducente. Quelli si avvicinano, come se volessero strapparglieli, ma lei sente la voce di Tommaso chiedere dove può trovare il vino, una voce – pensa – simile a quella del suo editore.
Non riescono nemmeno a sbronzarsi perché lui beve troppo piano, sorseggia e assapora. Qualcuno deve averglielo insegnato. Si siedono sul letto e Tommaso si avvicina. Non ha odore. Si toglie la maglietta. Una maglietta imbarazzante, font malefico, scritte ironiche. Houston, I have so many problems. «Fa caldo», dice sorridendo, un gesto che fa senza volerlo fare, la conseguenza di una pressione sociale. Il sorriso è forse una paresi. Poveretto, pensa Franca e non prova nemmeno l’istinto di abbracciarlo. Nessuna fitta, nessun desiderio. Il corpo è bello, per quanto un filo sovrappeso, in più è piuttosto basso, non in generale, ma per gli standard di Franca. I due di Lotta Comunista sono alti e dinoccolati e sicuramente aspetterebbero che fosse Franca a prendere l’iniziativa, a togliere la maglietta. Con questa immagine in mente, si getta su Giacomo che per un attimo ha l’istinto di scansarsi.
Non funziona niente. Lui tenta di mettere su una musica ma Franca dice «Evitiamo». Le pare di sentire quelli di Lotta Comunista parlare con qualcuno per cui non vuole casino in camera, oltre al fatto che la musica che ascolta Tommaso è sicuramente una merda. I due insistono, suonano alle porte, compiono gesti disperati. Sprecano il tempo. Il famoso spreco sacro. Poi a un certo punto il rumore di uno scatto, una voce estranea, forse un vicino ha aperto e stanno discutendo di qualcosa. Sarebbe bello partecipare alla discussione invece che avere la lingua di Giacomo in bocca, sarebbe bello non averla, avere quella dei due o di nessuno. Le toglie la felpa e la bacia dappertutto, fa un freddo cane e lei non si scalda. Per cui se lo appiccica addosso e lui fraintende, si carica, acquista un rossore ridicolo e una ridicola foga. Adesso Franca gli piace. È partito. «Devo andare in bagno», dice Franca per farlo ripigliare, rimettendosi la felpa, invece va alla porta. Non si sente più niente. La apre, la spalanca, e i due sono per le scale, i cappotti fino ai piedi, uno indossa un cappello che prima non aveva. Sono sempre in bianco e nero. «Che fai, Batjuska?» chiede uno dei due a Franca, Batjuska chiude la porta, non prima di aver fatto a entrambi una linguaccia.

Adesso sono nudi e Franca ricorda passo per passo come ci sono arrivati. Lui ha provato a toglierle la felpa di nuovo e lei se l’è tolta da sola, poi si è tolta tutto il resto intimandolo a fare lo stesso. Ha pensato Forza, facciamo sta cosa. Ma la cosa era difficile a farsi. Non è vero che i corpi si incastrano in automatico, c’è qualcosa in quello di Franca che impedisce l’accesso a Giacomo, una questione atmosferica o di vibrazione tattile, due sostanze che si respingono a vicenda. Lui è corto, compatto, animato da una forza che il corpo di Franca non trova attraente, lei è lunga, eburnea e velenosa, e il veleno non è di quelli che tentano Giacomo. Franca accende la luce, vuole vedere. Fino a che punto si spingerà. Franca vuole sbrigare la questione. Adesso è sopra Giacomo e ha la chiara sensazione che non parlerà, che è di quelli che non parlano, che nel sesso non si fanno sentire in nessun modo. Eppure qualcuno parla, sono quelli di Lotta Comunista. Franca è certa che siano dietro la porta. Le pare di sentire il fruscio di una busta, l’avranno fatta scivolare fino al suo soggiorno. E adesso è lì, immobile, in soggiorno. Franca deve leggere, per cui finisce di togliersi le mutande e se ne va di là senza scusarsi. Non c’è niente, a parte uno strano odore. Appoggia l’orecchio alla porta. Li sente ridere amorevoli. Ride anche Franca. «Quindi?» dicono. «Vuoi tornare dal tuo amico?» Franca dice di no. Poggia il culo sulla porta, la mano sinistra sotto l’ombelico. Come aveva immaginato, i due parlano.
L’amore è una mescolanza di sentimentalismo e sesso, diceva Burroughs, finché a un certo punto non arriva Giacomo.
«Che cazzo fai?», chiede a Franca.
È uscito dalla porta e si è rimesso la maglietta Houston, I have so many problems. Ma adesso, dopo quella esclamazione, le pare una persona vera. Si avvicina e prova a baciarlo, ma questa volta lui si scansa.
«Chi c’è la dietro?»
«Dietro dove?»
«Dietro la porta. Con chi stavi parlando?»
«Nessuno».
Tommaso si precipita verso la maniglia e la apre. Franca chiude gli occhi. Probabilmente si sono nascosti nel sottoscala perché lui non li vede eppure Franca riesce a sentirli ridere, un riso costante e insidioso. Prima o poi riusciranno a entrare in casa, a spiare Franca, o ad accucciarsi in un pertugio del palazzo, con i loro lunghi cappotti che smetteranno in estate, il giornale in mano, un sacchetto di plastica per il cambio dei vestiti; ad ogni passaggio di Franca le sussurreranno qualcosa. Qualcosa che le farà male sentire. Tommaso ricomincia a baciarla, questa volta sul tavolo, come se lo strambo episodio lo avesse inselvatichito. Franca si lascia baciare ma le voci dei due generano in lei una forma di schifo, o forse di paura, paura per Giacomo, schifo per Franca che scopa con Giacomo. A Franca sembra di vederli, sono lì, dietro Tommaso, la guardano come si guarda un traditore. «Devi solo stare tranquilla», le sussurra Giacomo all’orecchio, mentre il corpo di Franca inizia a tremare. «Lasciati andare. Fidati di me. Non c’è assolutamente nulla da temere».