Si respira un’aria buona di già visto in Paradiso di Michele Masneri, appena uscito per Adelphi. Non è necessariamente un limite, perché millenni di teoria estetica, arti figurative in testa, ci hanno tramandato che ogni grande artista si realizza copiando. E poi basta guardarsi attorno per vedere come alcuni dei nostri migliori autori abbiano rivendicato la libertà di fagocitare la scrittura altrui per dire la propria (Michele Mari con Céline, Manganelli con il romanzo d’avventura inglese, Vitaliano Trevisan con Bernhard e Beckett, o coi meno citati ma altrettanto presenti Piovene e Berto). Nel caso di Masneri, specialmente, la scelta smaccata di prendere a prestito dal New Journalism americano e da Arbasino, per quanto riguarda il modo di rimettere in circolo le cose che si vedono e sanno (a lui Masneri aveva dedicato Stile Alberto nel 2021), è propedeutica al tradimento: il più grande atto d’amore che si possa compiere in letteratura (un po’ meno nella vita vera), se rivendica a rovescio la dignità di esprimere se stessi con coerenza e fedeltà. La tentazione di sfogliare Paradiso come una cipolla – levare uno strato alla volta, un hommage dietro l’altro – fino a ritrovarsi con poco o niente in mano per concludere che, in fondo, non c’è un nucleo intorno a cui ruota la sua esperienza della realtà – è ineliminabile. Del resto, il senso di Masneri per la superficie ha, come in Arbasino, pochi confronti: quasi a ogni rigo Paradiso evoca lampi di iperrealtà mondana, catastrofi orecchiate e nomi tanto veri da sembrare finti (e viceversa), non rinunciando mai a una battuta che fa deflagrare l’insieme (la più memorabile, ma può darsi non la più brillante, compare tre volte, quasi scandisse il ritmo del libro: «Milano è un’infinita Tuscolana tenuta bene»). Penso però che in un romanzo così consapevolmente derivativo, fatto di guizzi e disfatto nella struttura, ci sia qualcosa di prezioso che appartiene solo a Masneri, e quindi a tutti i suoi lettori. Lo sintetizzerei in due idee connesse: la sua nostalgia per ciò che si estingue ma continua a gettare luce da lontano; il suo attaccamento senza compromessi alla vita sensibile.
Tolto un preambolo milanese-romano con annessi profili al vetriolo delle metropoli vittime di opposti inganni (Milano nella trappola che si possa vivere di futuro, vision e progetti triennali; Roma ostaggio della propria sconfinata archeologia), il romanzo è ambientato tutto al Paradiso, uno strano residence autogestito sul litorale laziale. Il posto unisce Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti