È in corso presso la Fondazione Prada di Milano una retrospettiva dedicata a Pino Pascali e alla sua fulminante, elettrizzante vicenda artistica. È l’11 settembre del 1968 quando l’artista pugliese muore in un tragico incidente in moto a Roma. Ha solo trentatré anni e il suo lascito artistico buca ogni temporalità, rimane lì, indelebile nella storia dell’arte contemporanea. È proprio un lavoro di ricostruzione storica quello operato dal curatore Mark Godfrey. La mostra è composta da quattro sezioni caratterizzate da precise prospettive sulla produzione di Pascali. 

L’allestimento realizzato da 2×4, studio di design newyorkese, definisce un percorso che include quarantanove opere provenienti da musei italiani, internazionali e da prestigiose collezioni private. Ad aprire la mostra è un’intelligente e puntuale riproduzione delle cinque mostre personali dell’artista presentate tra il 1965 e il 1968 dove emerge un corpo a corpo tra arte e vita, tra rappresentazione e messa in scena, tra immaginazione e realtà. Pascali ha creato ambienti immaginari senza limitarsi a selezionare opere dal suo studio. Il curatore ha voluto restituire questa potenza teatrale simulando le dimensioni spaziali originali delle gallerie in cui Pascali ha esposto, permettendo ai visitatori di sperimentare le modalità allestitive non convenzionali utilizzate dall’artista. La scenografia, la messa in scena appartiene a Pascali che ne coglie tutte le potenzialità espressive, materiche mettendo in atto dei veri e propri dispositivi spaziali, architettonici di un’intensità effimera quanto significativa. 

È un’arte ambientale, temporanea e profondamente inclusiva. 

Nel 1955, Pino Pascali,

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