«Io non vorrei neanche sentire parlare di Schicchi, Moana Pozzi, né tantomeno di Rocco Siffredi.»

«Assolutamente d’accordo. Ad esempio, io l’altra sera ho partecipato a un incontro sulla post-pornografia femminista. Pazzesco.»

«Sarebbe bello che si parlasse del porno solo in questi termini.»

Ho assistito a questo scambio fuori dal cinema, dopo aver visto Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt. Una conversazione a cui ho partecipato soltanto sottolineando quanto si trattasse di questioni completamente diverse e che pensare di poter definire la superiorità di una cosa rispetto all’altra – oggi che la pornografia non è più quella di una volta, per fortuna – sia un’operazione persa in partenza. Quelle affermazioni, però, mi hanno fatto riflettere sull’intensità del rimosso che anche le personalità più liberali e “aperte” conservano quando si parla di determinate figure o tematiche. Avrei voluto chiedere loro, poi, a che genere di superiorità facessero riferimento e su quali basi potessero asserire la superiorità (morale? etica?) della pornografia femminista rispetto a quella mainstream; un bias, quest’ultimo, che implica una gerarchia presunta, e non fa che appiattire tutte le contorsioni e le resistenze del desiderio. 

Credo ci possano essere pochi dubbi sul fatto che prodotti come la miniserie Supersex e Diva Futura segnino uno sforzo

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