«- E io non scenderò più! – E mantenne la parola.»

A esclamarlo è Cosimo Piovasco di Rondò, il personaggio arboreo più famoso della letteratura italiana. Un eroe riconosciuto.

Ma cosa accade se a pronunciare la stessa frase è una donna?

Ce lo mostra un’esposizione estrosa e inaspettata: Io non scendo. Storie di donne che salgono sugli alberi e guardano lontano, visitabile fino al 25 agosto al Magazzino delle Idee di Trieste e accompagnata dal bel volume edito da Postcard.

L’intero progetto è curato da Laura Leonelli, che ha esposto oltre 200 scatti dalla sua collezione privata di fotografie anonime, intervallandole a racconti su donne, reali o immaginarie, da Simone de Beauvoir a Beah E. Richards, da Jo March di Piccole donne di Louisa May Alcott a Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren.

Per tutte loro l’arrampicarsi su un albero è, più o meno consapevolmente, un simbolo.

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Anonimo, Stati Uniti, 1909
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Anonimo, Stati Uniti, circa 1910

Studiose di fotografia e di femminismo come Emma Lewis sanno bene che «an image can work for feminism without having been made for feminism». Lo ricorda Federica Muzzarelli, spiegando: «sono esistite (ed esistono) fotografie femministe (ancora più e ancora meglio che fotografe femministe) fuori dalla militanza e dalla storicizzazione definita. Ciò che è determinante è che si verifichi un’opposizione a una visione monolitica dominante e monodirezionale dei ruoli di genere, dell’identità di genere e dei desideri di genere» (Fotografia e femminismo tra 800 e 900. Album, Diari e Scrapbook, Pearson 2024).

È precisamente ciò che vediamo in azione in queste fotografie, che vanno dalla fine dell’Ottocento agli anni ’70 del Novecento, che provengono da Europa, Stati Uniti, Egitto. Qui bambine, ragazze, donne, giovani e anziane, si sono fatte immortalare in piedi su tronchi caduti, sedute su radici o forcelle, spuntate da rigogli di foglie, o penzolanti da rami sottili…

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