Tomasz Różycki è un poeta, ha scritto straordinari libri di poesia, molto tradotti (persino in italiano!) e molto premiati (non ultimo il premio Szymborska 2023). 

Nel 2004 era uscito Dodici stazioni, un romanzo con cui vinse i mondiali e anche le olimpiadi della mia narrativa, che se ci ripenso mi rivedo giovinetta sul divano di una casa ormai andata che rido e mi alzo e mi risiedo e scuoto la testa e chiamo l’amichette mie per leggere loro a voce alta brani, a mio avviso, strepitosi. E loro che mi dicevano, ma Różycki il poeta!? E io, Sì, sì, lui!

Questo Ladri di lampadine, uscito lo scorso anno, è un altro romanzo. Ora, quando i poeti (quelli bravi) si mettono a scrivere prosa succede un po’ come quando sei al mare e sei lì sovrappensiero imbambolato per la vastità assoluta del blu che ti si muove davanti e poi il sole, lo sciabordio delle onde e quasi uno potrebbe dire alla vita Ora basta, va bene così, ma poi arriva dalle spalle un ragazzino di corsa che si butta in mare e comincia a scherzare e giocare e a schizzare l’acqua e allora lo guardi che salta e strilla e si diverte come è giusto che un ragazzino si diverta e alla fine tutta quella gioia è anche contagiosa. 

Ecco, quando un poeta (bravo) scrive in prosa l’allegria in gioco è quasi la stessa. 

Una cosa simile succede ai trombettisti quando posano la tromba e vanno al microfono. Tipo Chet Baker che canta, o anche un più recente Till Brönner, perché la tromba non è uno strumento che si suona e basta, ma ci si canta dentro, bisogna essere terribilmente intonati e poi se uno ha anche una bella voce, be’, alla fine viene fuori My funny Valentine con la voce di Chet Baker. O questo Ladri di lampadine di Różycki.

C’è la gioia bambina dello spazio e l’esperienza della parola in equilibrio, i poeti (bravi) la sanno tenere in tiro, sentono gli errori, le ridondanze, non c’è mai niente di inutile con loro, o di banale, in un testo in prosa di un poeta (bravo).

Ladri di lampadine è così. Compreso il ragazzino che racconta la propria quotidianità nella Polonia degli anni ottanta, periodo in teoria grigissimo e terribile, ma qui dipinto con una dolcezza e un’allegria che viene voglia di fare un salto carpiato e tuffarsi dentro la storia, magari cadendo in una fila, chessò, per la carta igienica. 

Che poi è per attivare questi desideri che si scrivono i libri, credo. 

Il primo filo rosso che cuce la storia è che bisogna macinare del caffè. La mamma del ragazzino

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