Paul Schrader non è in fondo mai riuscito a essere annoverato tra i grandi registi della sua generazione; comprensibilmente, visto che a quella generazione appartenevano nomi come Coppola, Cimino, Scorsese… Registi che oggi appaiono quasi gli ultimi “autori” in senso pieno, con una salda e problematica visione del cinema e del mondo, in un panorama contemporaneo spesso schiacciato su mode estetiche e ideologiche elementari. Schrader sarà stato anche, ai suoi tempi, un minore, ma confrontarsi con il suo ultimo Oh, Canada in mezzo a idiozie come The Substance o Nosferatu, o furbe e riuscite operazioni come Emilia Pérez e Anora, è un esercizio salutare.

Oh, Canada richiede tempo e attenzione; anche se non ha bisogno di durare due ore e mezza per dipanare la propria complessità, ogni scelta di regia implica il confronto con un coacervo di temi e di stile. La sua piacevole inattualità, però, è solo parziale. Schrader, che adatta il romanzo I tradimenti di Russell Banks, scrittore scomparso nel 2023 (e che aveva già ispirato uno dei suoi film migliori, Affliction), ha da dire qualcosa su due fenomeni dei nostri anni: l’affermarsi nel cinema della forma documentaria (il cosiddetto “cinema del reale”) e la moda letteraria dell’autofiction. 

Il protagonista del film è un documentarista attivo in Canada: e se in effetti quel paese ha una gloriosa tradizione nel settore, la sua tecnica di ripresa e i frammenti di film immaginari che a un certo punto vediamo rimandano abbastanza chiaramente a uno dei maestri del genere, Errol Morris. Sono per lo più documentari di denuncia, addirittura con un che di sensazionalistico, fin dai titoli: In the Mist 1970) sulle sperimentazioni dell’agente arancio, The Shame of Canada (1978), Slaughter on Ice (1981) sul massacro delle foche, Suffer the Innocents su un vescovo pedofilo…

Il documentario è un tema piuttosto nuovo per la letteratura, ideale per creare un cortocircuito tra la figura dell’autore e quella del narratore. Penso a Un romanzo russo di Carrère o a Suite per Barbara Loden di Nathalie Léger (e di recente, in maniera diversa, a Roberto Andò nel Coccodrillo di Palermo). Ma raccontato nel cinema di finzione il documentario comporta un ulteriore carattere autoriflessivo, come genere in cui le questioni estetiche ed etiche del filmare diventano lampanti: cosa filmare? Cosa tenere fuori campo? Quando tagliare? Come e perché inserire una musica? Come gestire il rapporto con gli esseri umani dentro il film, con il loro essere attori e persone?

Oh, Canada comincia con i preparativi di un piccolo set, come

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