In una puntata di «Mixer – Faccia a Faccia» del 1988, Giovanni Minoli intervista Giulio Einaudi. A un certo punto, il giornalista chiede all’editore i motivi per cui, in altra sede, abbia citato uno scrittore, Luca Goldoni, come esempio di autore “facile” e superfluo. Sostanzialmente Minoli chiede a Einaudi di giustificare perché abbia deciso di darsi sui piedi la famosa zappa: dovrebbe essere contento che un Luca Goldoni, per quanto modesto, venda molte copie, dal momento che in un’economia moderna di mercato sono le vendite che consentono a un’impresa (e tale è anche la sua) di sopravvivere. Minoli provoca Einaudi su questo tema, sapendo di toccare un nervo scoperto: è per colpa della sua scarsa sensibilità finanziaria se ha perso, tra il 1983 e il 1984, il controllo della casa editrice che aveva fondato cinquant’anni prima. Con l’orgoglio del principe che difende il prestigio culturale del suo castello, Einaudi risponde a Minoli che non ha nulla contro quelli come Luca Goldoni ed è anzi contento che vendano così tanto, purché si sappia che ciò che scrivono, testuali parole, «è acqua fresca», non è arte, ma un ammasso di parole senza peso specifico che escono pure dalla fonte e scorrono a media velocità, facendo non rumore ma un inoffensivo brusio, lungo le vallate del consumo letterario. Un pensiero che mi ha sempre ricordato l’adagio del mio professore di matematica e fisica del liceo; se gli chiedevo cosa pensasse dell’opera del tal filosofo o quella del tal scrittore, lui declamava con la mordace sicurezza del positivista: «È un’opera con la quale e senza la quale si vive in modo uguale».
Le raccolte poetiche italiane uscite nella Bianca nell’ultimo quindicennio, tranne poche eccezioni (su tutti Anna Maria Carpi, Ivano Ferrari, Tiziano Rossi, Francesco Scarabicchi, Enrico Testa, Patrizia Valduga), e tolte le riproposizioni dei classici contemporanei (Baldini, Fenoglio, Loi, Merini, Volponi) e le endo-edizioni (le raccolte degli interni, come Ernesto Franco), sono abbastanza assimilabili a quell’acqua fresca di cui parlava Einaudi: acqua freschissima, sgorgata da fonti altissime, purissime, capaci di sguisciare al meglio tra le rapide, le balze e le rocce del mercato editoriale, e di finire sia negli scaffali delle librerie (indipendenti e no), sia nelle scuole che nei festival. I concetti di “purezza” e “mercato” sono collegati, anzi si implicano, nel caso specifico della storia recente della collana. Il dubbio infatti è che l’esigenza, molto mondadoriana e milanese, di far quadrare i conti e di dimostrare che anche la poesia può resistere sul mercato abbia preso il sopravvento sulla ricerca di voci valide, Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti