A volte i bambini non smettono di disegnare. Disegnano mentre parlano, mentre mangiano, mentre inventano storie. Attraverso il disegno raccontano chi sono, cosa vedono, cosa sognano. Nei loro fogli si mescolano personaggi fantastici e dettagli del mondo reale, figure archetipiche e frammenti della loro quotidianità: una scuola, una casa, un animale immaginario. È evidente che non stanno semplicemente illustrando qualcosa, ma costruendo una visione del mondo.
Per un architetto, in fondo, non è molto diverso: il disegno è un modo per sovrapporre il reale all’immaginario, per trasformare l’esperienza in progetto, per dare forma al pensiero e alla visione. Disegnare non significa solo rappresentare, ma interpretare, comporre, sognare. Il disegno è il luogo in cui l’architettura prende vita: uno spazio dove l’intuizione incontra la tecnica, dove la memoria si intreccia con il futuro.
Il disegno è uno strumento di ricerca. È ciò che permette all’architetto di comunicare con precisione: piante, sezioni, prospetti, dettagli costruttivi — tutto deve essere definito in modo chiaro, coerente, leggibile, affinché l’idea si traduca in costruzione, in realtà abitabile. È insieme un atto tecnico e un atto emotivo: il progetto nasce sulla carta prima che nella realtà, e ogni linea tracciata è una forma di pensiero, ma anche una modalità di sentire lo spazio.
Nel tempo, il semplice disegno al tratto è stato affiancato da nuove forme di costruzione dell’immagine. Ogni architetto sceglie un proprio linguaggio visivo: c’è chi traccia linee a mano, e chi si affida alle geometrie generate dal codice. Altri ancora costruiscono le proprie idee lentamente, attraverso collage, fotografie, modelli fisici o disegni concettuali.

Questa pluralità di linguaggi visivi è al centro della riflessione proposta dalla mostra Stop Drawing al MAXXI, a cura di Pippo Ciorra, fino al 21 settembre. Per sei secoli, da Leon Battista Alberti in poi, abbiamo identificato l’essenza profonda dell’architettura nel disegno. Oggi, per la prima volta, questa convinzione vacilla. Lo dichiara il curatore: l’introduzione di strumenti digitali, algoritmi generativi e intelligenze artificiali mette in discussione il concetto stesso di rappresentazione.
È vero: l’idea di simulazione ha preso il posto della rappresentazione tradizionale. In molti casi, contaminando il linguaggio architettonico con nuove forme visive, scardinando il ruolo centrale che il disegno ha avuto nel pensiero architettonico per secoli. Ma nonostante questo scenario, esistono architetti che scelgono di continuare a disegnare. Non per nostalgia, ma come atto di resistenza: resistenza all’automazione del pensiero creativo, all’istantaneità delle immagini, alla perdita di quel tempo lento necessario per pensare lo spazio in profondità.
Il disegno torna così a essere gesto critico, strumento consapevole, pensiero autonomo. È il punto in cui l’architettura comincia a esistere, prima ancora di prendere forma dalla materia.
Stop Drawing non invita ad abbandonare il disegno, ma a integrarlo in un sistema più ampio e fluido di rappresentazione. Un sistema che rifletta la complessità del mondo contemporaneo e che restituisca all’architettura la sua capacità di raccontare, emozionare, interrogare. Un invito a fermarsi, per allungare il tempo della riflessione e del pensiero — un tempo che oggi sembra sempre più difficile da ritrovare. Non ci dice che esista una formula migliore di un’altra: ci suggerisce di ritrovare il nostro modo di costruire una visione del mondo. Così come facevamo quando eravamo bambini.
