«Longhi fu il solo morto che vegliai» confessa Gianfranco Contini a Ludovica Ripa di Meana nel magnifico libro Diligenza e voluttà. Ludovica Ripa di Meana interroga Gianfranco Contini (Mondadori, 1989). Non poteva mancare nelle pagine di questa biografia raccontata in prima persona, “libro singolarissimo”, un capitolo dedicato al grande amico Roberto Longhi. Contini, all’epoca dell’intervista era già segnato dall’ictus che lo colpì nel 1970, proprio l’anno della morte di Longhi. Sollecitato dalle domande di questa sorta di “autobiografa d’altri”, Contini si lascia andare ai ricordi:
«Io non ho vegliato nessuno nella mia vita, neanche dei miei parenti: ho vegliato soltanto Longhi. E il dolore della morte di Longhi fu violento. Qualche mese dopo ebbi anch’io un ictus».
Pur fisicamente debilitato, Contini continuò a macinare pagine, testi, con una lucidità intellettuale invidiabile, affatto scalfita dal malore. Ce lo confermano questa stramba autobiografia, ma soprattutto una relazione del 1980, tenuta al convegno fiorentino per commemorare i dieci anni dalla scomparsa dell’amico: “Roberto Longhi nella cultura del suo tempo” (titolo che, nel volume che raccoglie gli atti, pubblicato da Editori Riuniti diventerà L’arte di scrivere sull’arte. Roberto Longhi nella cultura del nostro tempo). L’intervento è mirabile. Se altri studiosi (tra questi Mengaldo) si erano dedicati all’analisi linguistica e stilistica del primo Longhi, quello affascinato dalle “fusées postfuturistiche” (così Contini), il filologo dedica il suo intervento all’ultimo Longhi, quello che egli definisce “classico”. Stile tardo, dunque: «convergendo le scelte della senescenza con la situazione inedita dell’oggetto», cioè con il principale tra gli ultimi scritti di Longhi, la monografia sul Caravaggio. Nei panni del «futuro editore delle Opere complete», tiene una lezione magistrale, dove riusciamo a cogliere il movimento incessante della scrittura dello storico dell’arte. Un florilegio di varianti per una relazione ancora oggi leggendaria.

Il Meridiano curato da Contini, che sceglie di non inserirvi immagini, coglie – come fosse un’istantanea ottenuta con un tempo di posa infinito – il valore di Longhi letterato. Le immagini dei dipinti mancano, ma noi le vediamo grazie alla traduzione del dato visivo in immagine scritta, come ha autorevolmente osservato Cesare Garboli. Il ruolo dell’ekphrasis è, da questo punto di vista, puntuale, rimarchevole, spinto con nonchalance fino a vertici di esattezza assoluta. Roba da cadere dalla sedia. Ed è per questo che il Millennio recentemente pubblicato da Einaudi, curato da Cristina Acidini e Maria Cristina Bandera, sceglie di riportare in equilibrio l’officina longhiana, spostando l’attenzione sul lavoro del critico e dello storico dell’arte, controbilanciando l’asse.
La nuova edizione di Da Cimabue a Morandi mantiene l’impianto scelto da Contini (un viaggio cronologico lungo i secoli della pittura), Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti