Vuole essere una storia di inabissamento sin dal titolo, Il piano inclinato di Roberto Alajmo (Sellerio, 2024): un ragazzo del Mali di nome Ousmane Keità (detto Ousma), dopo la morte del padre, lascia il suo paese per andare in Europa, sbarca a Lampedusa e finisce in un hotspot, poi si ritrova catapultato suo malgrado in un centro di accoglienza per minori a Palermo. Lì, diventato maggiorenne (scoprendosi indesiderato a tutti gli effetti, privo dell’unica tutela che, finché era un minore, aveva), rimane prigioniero del ruolo di terrorista che può darsi non lo rispecchi, ma che per beffa sembra l’unico in grado di dare risposte, per quanto parziali e dissennate, alla sua frustrazione e al mancato riconoscimento del «Nuovo Mondo» verso di lui.
Il piano inclinato del titolo non sta certo nel degrado che costringe a delinquere per bisogno: Alajmo è più sottile di così, non si accontenta di esotizzare la povertà. In questione è invece un desiderio che non riesce a trovare un oggetto in grado di appagarlo («in certi momenti gli pare che tutto il mondo che lo circonda si configuri come una colossale tentazione alla quale lui non è in condizione di cedere»): una finestra aperta sulla frustrazione infinita. La Grazia che Ousma insegue è l’affascinante donna progressista del centro di accoglienza che, a prima vista, ricambia il suo desiderio solo per poi tenerlo a distanza con una professionalità in cui Ousmane legge il rifiuto; ma è anche un’altra grazia sottilissima, che anche noi inseguiamo senza costrutto, la stessa che Ousma s’illude via via di trovare negli occhi di una giovane marocchina sua coetanea come nell’hamburger di un fast food, nei soldi della liquidazione come addetto alle pulizie in un centro commerciale, in una giacca elegante da bianchi ricchi di cui prima ha voglia e, appena l’ha comprata, vergogna bruciante.

Da questi pochi schizzi di trama non è facile capire cosa aspettarsi da Il piano inclinato: è pensato per portarci a ghignare di Ousma e dell’equivoco mortale nel quale si traduce il suo viaggio in Europa? O si tratta di una variazione dell’ennesima tragedia migrante per un pubblico colto che scambia un’assoluzione collettiva per una catarsi? Nessuna delle due: i frequentatori di lungo corso dell’opera di Alajmo (che sono più di quanto si creda, ma silenziosi rispetto agli estimatori dei Venerati Maestri suoi coetanei) riconoscono Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti