Un ipotetico lettore disposto ad aggirarsi in questi giorni tra gli scaffali di saggistica delle librerie italiane potrebbe con un po’ di fortuna ritrovarsi tra le mani due libri appena usciti, apparentemente diversissimi, scritti da intellettuali e pubblicati da editori che si faticherebbe a immaginare più lontani. Storia della fama, di Alessandro Lolli, edito da effequ, e Ogni maledetta mattina. Cinque lezioni sull’arte di scrivere di Alessandro Piperno, per Mondadori.
In Storia della fama, Alessandro Lolli studia i vari modi in cui l’Occidente ha concepito e nutrito le nostre idee di gloria, celebrità e reputazione, soffermandosi soprattutto sulla situazione di oggi, determinata dall’esplosione delle reti e dei media sociali. Essenzialmente un libro sulle caratteristiche specifiche di quella che chiama la nostra attuale «fama di massa», che però non si limita a commiserazioni tanto legittime quanto scontate sul narcisismo contemporaneo (la socialità virtuale ci ha reso ovviamente «più egocentrici, più superficiali, più istrionici, più dipendenti del giudizio altrui»); azzarda invece interessanti ipotesi sulle peculiari modalità di questo narcisismo, e congetture più interessanti ancora sulle sue conseguenze estetiche e sociali. Rispetto alle esigenze novecentesche di riconoscimento pubblico, scrive Lolli, la rete ha rovesciato le gerarchie tra massa e élite, rivoluzionando – attraverso i social network – la struttura stessa dei nuovi media. Se per Andy Warhol nel tempo del pop chiunque sarebbe diventato famoso per quindici minuti, oggi – nel tempo dei social network – chiunque è famoso per (almeno) altre quindici persone, ma per tutta la vita. Fornendo a tutti un palcoscenico – anzi, uno per ogni social che abbiamo deciso di frequentare – la fama di massa plasmata dai social non è più una condizione relativamente estemporanea e per forza di cose elitaria, legata ad un’opera; diventa invece una modalità costante e diffusa di interazione sociale. Indipendentemente dal nostro effettivo seguito, tutte le relazioni che intratteniamo sul social network, comprese quelle con le persone a noi più vicine, vengono stilizzate dai meccanismi di fama, e attraversate dalle sue strutture (le esigenze dello stare sul palco, l’essere visti e giudicati da un pubblico, eccetera).
Una prima conseguenza di questa condizione è che per diventare famosi (e non importa se odiati o apprezzati) non è necessario fare, può bastare essere, o fingere di essere. Lo insegnano i reality show, antesignani dei social: nella fama di massa, il nostro profilo è continuamente online e macina visualizzazioni e adesioni secondo logiche multiple – può venir meno la necessità di mettere faticosamente insieme un cursus honorum, quella serie di successi pubblici che caratterizzavano sia la carriera dei famosi dell’età classica, sia la scalata tipica di un vip della modernità. Una seconda conseguenza la insegnano invece i talent show, modello di quella “osservazione di secondo ordine” che secondo uno studioso come Hans-Georg Moeller spiega il modo in cui performiamo la nostra identità attraverso i profili. Sul palco dei social produciamo contenuti non solo sapendo che saranno visti (primo ordine), ma anche e soprattutto che saranno visti nel loro essere visti, come nei talent (secondo ordine): e quindi attraverso reazioni, commenti, giudizi, condivisioni.

Cosa c’entra tutto questo con la letteratura che si fa oggi? Nel suo Ogni maledetta mattina. Cinque lezioni sull’arte di scrivere Alessandro Piperno dedica uno spazio specifico all’analisi dell’ambizione come molla interna della narrativa moderna. Si trova nella posizione ideale per farlo: sia perché come romanziere e studioso del romanzo sa benissimo che il desiderio di riconoscimento è un impulso potente alla creazione di fiction (e non di rado un suo tema prediletto), sia perché la sua posizione specifica è quella di uno scrittore snob per formazione e per gusto, baciato dal successo al suo esordio, precocemente pluripremiato: insomma qualcuno che per talento, fortuna e carattere ha sempre potuto e saputo tenersi lontano da quella ininterrotta e pubblica lotta nel fango in cui Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti