Nel settembre del 2007, alla Mostra del cinema di Venezia, nel quadro di una retrospettiva sul Western all’italiana, che doveva essere benedetta dal crisma di Tarantino – il quale però diede buca – ebbi la fortuna di realizzare una lunga intervista a Sergio Donati, scomparso lo scorso 13 agosto. Il Sergio Donati sceneggiatore il cui cognome, spesso se non sempre, era associato in endiadi a quello di Luciano Vincenzoni: Donati & Vincenzoni. Stavolta, invece, Sergio viaggiava solo, e aveva una gran voglia di raccontarsi. Ne aveva la voglia e le capacità, perché era un fantastico narratore, quanto in cinema altrettanto nella vita: uno di coloro che, parlando, ipso facto sceneggiano. Le domande che gli posi  furono quattro o cinque. Imbeccate, spunti, estri, lanci di amo, ma così, dopodiché fu lui l’one man show, a tenere banco per oltre tre ore, con una loquela allo stesso tempo pacata, controllata, ma divertente, ironica e fiammeggiante. Quel giorno Donati si presentò con un cadeau: la sceneggiatura che di recente aveva digitalizzato, dall’originale, di C’era una volta il west. Non ricordo se mi fu munifico anche di quel suo delizioso libretto di memorie che si intitola C’era una volta il West (ma c’ero anch’io) – non credo, perché dovrebbe essere uscito dopo il 2007, per i tipi della Omero. Il grosso dei racconti che Donati mi fece, verteva su Sergio Leone, sul suo rapporto con l’uomo, geniale, controverso, mutevole, ora e sempre grandissimo regista e altrettanto grandissimo “stronzo” (da intendersi con la bonarietà romanesca della definizione, così come suonava in bocca a Donati). Sergio mise il proprio talento, prima sceneggiando da “negro”, poi finalmente “accreditato”,  al servizio di quei film che si intitolarono Per qualche dollaro in piùIl buono, il brutto, il cattivo, C’era una volta il West e Giù la testa (Giù la testa, coglione! per citarlo come venne concepito in origine). Ma Donati, nel resto della sua esistenza, avrebbe scritto poco meno di ottanta film, di ogni genere, di ciascuno dei quali era elettrizzante sentirlo rendere testimonianza, poiché, come già dissi, nelle sue parole l’uomo era sceneggiatore e lo sceneggiatore uomo.

Ventenne (era nato nel 1933), aveva esordito come scrittore, pubblicando nella collana Medusa degli Italiani, di Alberto Mondadori, tre gialli. Da uno, Il sepolcro di carta, Tinto Brass avrebbe poi tratto, nel 1967, Col cuore in gola («Un Brass ancora molto godardiano, non scollacciato»). L’altra faccia della luna, il primo dei  romanzi, diventò anch’esso film nel 1966, con il titolo Tre notti violente, la regia di Nick Nostro e una splendida Margaret Lee protagonista. Ispirato al caso

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