Si presentano qui in anteprima alcuni capitoli del nuovo libro dell’autore, in uscita a giugno. 

Trentuno

Stai aspettando un bambino a seguito di un rapporto sessuale consumato in una missione in Somalia, hai smarrito in mare gli occhiali da sole, sei intrappolata in ascensore. All’asilo dove insegni stai proponendo un’attività con i gessetti colorati. 

Sei finito su una sedia a rotelle, stai conversando e fumando in una cigar lounge, un messaggio al cel­lulare ti rivela che tua moglie ti tradisce. 

Fai l’elemosina per le vie di Košice, la guida turi­stica a Cuzco, sei ferma di fronte alla vetrina di una drogheria mentre la città è scossa da un terremoto notturno. 

Hai prenotato un volo per Città del Capo, per Atlanta, ti stai allenando a eseguire un putt su Ford Island, tra due giorni ti sposterai a Sapporo. 

Sei stata morsa da uno spitz sulle scale del tuo condominio. 

Stai guardando una partita di baseball al palmare mentre il tuo treno è in partenza, scattando foto ravvicinate di caccia in volo per una campagna pubblicitaria dell’Accademia Aeronautica, sei stato arrestato per violazione della libertà vigilata. Leggi Lo scimmiotto su una panchina del parco, hai com­prato due paia di stivali usati che ti arrivano fino alla coscia. 

Sei stata invitata a Metz al matrimonio di un ex collega in pensione, nell’Ariège, o a Tampere. Stai progettando un nuovo modello di rollerblade per un’azienda canadese – di pedivelle per pedal steel, di pale eoliche, tergicristalli, di melari per un vicino apicultore, un nuovo genere di argano, di resina epossidica e di carattere tipografico –, frequentando con tua sorella e con il tuo amico Ansfried un corso di gaelico o di coreano. 

Sei intento a trascrivere uno spartito per una banda, alle prese con il rimodellamento topiario di alcune siepi di tasso – dopo il fallimento del tuo ristorante hai venduto le posate a metà prezzo, stai riempiendo di carburante le boe luminose all’entrata dello Stretto di Magellano. 

Ascolti un kirtan al Gurudwara Bangla Sahib, stai facendo un’escursione con le ciaspole sul Monte Kenya. Prendi parte alla cerimonia di insediamento dell’amministrazione entrante e sei nel novero dei dimostranti davanti ai quali, durante una protesta, Nouriel Sartage, Jared Speigh e Harmen Heath si sono dati fuoco. Hai proclamato l’ultimo sciopero dei tessili in una località dal nome corto, che non ricordi: Brno forse, Unst, o Mons; ti sei slogata la mandibola cadendo in una dolina, un banchiere a Brisbane ti ha suggerito di investire nel rame. 

Per un anno, quando ne hai trentadue, ti improv­visi imprenditore nel comparto dolciario, hai otte­nuto la qualifica di operatore edile alle strutture, ti sei fatto una posizione. Sei un esperto di taglio cabochon, di cloisonné e di archeologia indu­striale – hai pescato in un fiumicello uno storione mostruoso. Di fianco a te, nel bagno pubblico, il vecchio Humbert ha lasciato l’orinatoio sporco di sangue. Sei in coma farmacologico a seguito di un intervento d’emergenza, allettato in ospedale in una città che non conosci. 

Ti sei soffocata con un boccone in un’angurieria, procurata un ascesso al fegato o un enfisema su una petroliera. Soffri di un’affezione sconosciuta, sei cianotica, esanime. L’anomala secrezione di sostanze ormonali nel tuo organismo ha denunciato una recente insorgenza tumorale: stai morendo poco più che cinquantenne per una malattia che non lascia scampo; hai com­prato una djellaba come la volevi tu in un bazar in cui non entravi da anni, gettato con un’alzata di spalle il tuo grembiule guajiro…


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Quarantacinque

Scorci e zonazioni, questo tratto di strada, il proscenio, i tuoi primi paraggi… l’ombra mobile e densa degli alberi del quartiere, il fermento all’incrocio tra le vie, la gravità e l’attrito, la stazione del treno a cremagliera, il limite sud-ovest della città, il continuo, le sfere… Catene di autoveicoli, un masso erratico, oggetti transnettuniani… Qual è la prossima cosa che ti viene in mente? Che cos’altro visualizzi?

«Il portamento dei pioppi, il sole primaverile, il rapido addensarsi dell’oscurità in un cielo estivo completamente limpido e senza fine, con il flusso silenzioso che l’accompagna come se lo stesso pianeta vi si tuffasse, il plenilunio. E poi il vento tiepido d’autunno, una volta di nubi, il freddo piovoso, la grandine, la neve alta.

«La grande articolazione di situazioni che può nascondersi dietro affermazioni generalizzanti, rimesse e patii di sasso, gli spostamenti geografici, soprassalti interiettivi, la misura del silenzio; l’inizio o la fine, la materia del privato, i mentastri, un’esedra di colli, le pianure inesplorate, erba scura e girasoli puntati verso il mare.

«L’incompletezza essenziale di processi decisionali ragionati nel minimo dettaglio, strategie per tenere il passo con me stesso, o per lasciar intercorrere, il senso relazionale delle emozioni, il netto e la gran parte, questo sentimento del futuro; ciò che accetto come reale, bugie casuali, le circostanze favorevoli alla mia scomparsa…».

Presso corti improvvise tra un palazzo e l’altro o su impolluti lungomari; il peso della neve attaccata alle suole delle scarpe e le variazioni sonore dei tuoi affondamenti, in visita ai popoli artici circumpolari… 

Attraverso il piano esposto a piombo alla luce solare nella persona di Humbert Kees o di Maurizio Sabona, su appezzamenti punteggiati di alberi, per i viottoli di un orto o per i terreni arativi, sopra una carrabile che si dirama per la campagna o per tragitti cittadini intersecati dai tagli delle traverse successive, addestrato a ordini di passaggio dei cui turni semaforici potresti mandare a memoria i tempi di attesa: tracciati entro e al di là dei quali, palpabili e propaganti, rimontano gli stormi stellari, l’esosfera, il ciclo delle albe e dei tramonti, la varietà astrale del paesaggio. Rimbalzano attiguità e concomitanza. 

Hai coltivato ovunque interpolazioni riflessive come un perseverante allenamento alla provvisorietà, toccato il fondo della paura metafisica tra i miasmi di una zolfatara, inteso su un banco sabbioso che a Santander separa la ria dal mare che è lo stesso che hai sopra la testa lo spazio sotto i tuoi piedi; preso atto, su una cengia nei Grampians – cioè ancora e sempre nel medesimo posto –, della tua facoltà di nutrire affetto per altre persone rendendoti conto di valori morali e sentimentali che vanno al di là della tua vita, fornicato in un sottoscala per settimane…


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Quarantanove

Ti ritrovi, procedendo per inclusioni in balia dell’ordine naturale delle cose, a scremare il rilievo dei continenti o a compulsarne il tappeto sedimentario steso lungo le fondamenta. 

Senza peso, prendi appiglio nell’aria in una dimensione di aderenze fatta di sorvoli, scie e inclinazioni, di saliscendi su piani di terra e acqua, sopra motivi e disegni – i quadrati di frutteti e boschi, i poligoni infinitamente variabili dei campi – la consuetudine delle cui sequenze e simmetrie ti indica la strada. Plani sulla macchia più profonda a tagliare le correnti, o ad asciugare la punta del becco tra le scarpate continentali battute dal pulsare delle maree. 

E assisti al collasso della rena sui versanti delle dune, strisciando in mezzo ai granelli fatti saltare dal vento, oppure sporta da un basso dosso dove l’erica rosa e i ciuffi di armeria formano un vello rasato, per deporre le uova tra le crepe della terra al ritmo delle sizigie. 

Ti aggiri affamata per i pendii di un pascolo cespugliato proteso a ventaglio dalla stagione sulle creste dei promontori. O altrimenti tieni dietro ai percorsi migratori del tuo branco tra le correnti di torbidità presso gli sbocchi delle platee abissali: sei anche questo. 

Abitando questo pluriverso fin dal primo istante, sei la scarpata, il pascolo la marea, le galassie e i golfi di anni luce che le separano – un contenitore universale e una scatola a sorpresa: non ci sei che tu da quattordici miliardi di anni. 

Finché – notte dopo notte, anno dopo anno senza una ragione al mondo – al sole del mattino a una svolta delle ere non hai più bisogno di essere nessuno; a diuturno contatto con lo straripare dello spazio attorno da numerosi, infiniti accessi punteggiata di luce siderale nel momento più alto del volo puoi semplicemente essere te stessa… di nuovo una bambina che gioca sulla spiaggia e raccoglie conchiglie senza alcuno scopo.


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Ultimo esempio

Perché l’esperienza che hanno del mondo è il mondo di cui hanno esperienza. Qualcosa si dispiega. C’è chi vi corrisponde, è già persuaso, dalla propria fiducia trae nutrimento e ne fa parola; e c’è chi si sta ora affacciando. Altri si scostano e si riaccostano – li vedo attorniare, fare spicco, hanno preso a sfavillare… Quando qualcosa di vivo li attraversa, quando tutto diventa semplice, luminoso, sorprendentemente evidente: se strappi radenti di totalità ottica cospargono la traiettoria degli sguardi – ecco la luce pulsante dei colori! – e siccome, nei segni della loro sintonia messe in opera le doti dei temperamenti, la gioia degli incontri prende luogo; questo sì, quello sì e la risposta non merita alcuna domanda. Qualcosa si può immaginare… Persone. Come abbondano delle risorse della propria vitalità abbondano di gesti d’entusiasmo, danno passo a una più pronunciata convinzione d’esistenza, che occasioni di liberalità e vibrati spinali attivano e catarsi mai trascorse irrorano, consacrano i casi della realtà alla profusione. Presentono e in ogni posto trovano culmini unanimi: presso la campagna bianca dei bocci, nella circolazione di corsi d’acqua permanenti, all’altezza dei frammenti cosmici, lunghe trecce di petardi, per cangianti matrici di argomenti; vanno disponendosi o sfilano precisandosi, decalcandosi su strade frequentate che senza intervalli aggallano in giochi di probabilità il cui contenuto è un’opinione, sulla cui base tutto ha facoltà di svolgersi nei limiti impalpabili quanto dispiegati di una ricchissima fatalità… Ogni volta che sbattono le palpebre l’immagine è diversa, ogni nuovo incontro suggerisce una potenziale direzione e l’opportunità è ovunque? Li fa ridere, questa profusione. Per tutto il mondo agiscono, trovano, collaborano devolvendosi a trasformare gli ostacoli in possibilità; contribuiscono, aspergono semi con una decenza ineluttabile tra fondachi, stampiglie e tutto quello a cui si sentono direttamente interessati profonda per quanto si estende il raggio visivo. Ciò che esprimono è la loro realtà, la loro esperienza è chi sono, curiosità e interazioni inclinate su un palinsesto di animazioni, flussi materiali e lembi di comunanza rappresi nella rosa spaziale di questa stessa animazione intensità di toni per intensità di toni le cui combinazioni rientrano in un repertorio infinito…

Musiche remote attraversano la città velata dalla notte; di chi sono questi suoni? Sono i suoni degli uomini, come se niente fosse mai esistito, o saputo, o capito se non questo trasalimento… Vespe carpentiere, gechi saltatori e scoiattoli volanti – là fuori da qualche parte – conoscono anche loro la placida dignità di momenti come questo? Cosa puoi o non puoi raccontare? Che cosa vuoi sapere? Dimmelo così, senza alcuno steccato lineare, gli orli al vento, soleggiata dalla liquida solennità del lume lunare, o altrimenti cantando a gola spiegata per motivi non constatabili – non per rivelare qualcosa né per mettere in moto qualche azione particolare, superando costantemente te stessa in effetti liberi. Nei termini del sottofondo ritmico formato dalle voci degli ultimi passanti, dal tintinnio delle stoviglie e dal vento di montagna nella veneranda mole dei castagni all’angolo, oppure ancora delle cadenze delle scimmie rosse, che urlano dal fitto baluardo di arborescenze d’incrocio sconosciuto a loro congeniali nella tenebra equatoriale… Forse è davvero così, quello che percepisci lo percepisco anch’io. Una maratona di ballo, la vita assecondata dalla vita, florida, benevola, gocciata da un fatto giornaliero di verità epidermiche – e dalla provvista regolare di piccoli frammenti di tempo, di eventi senza inizio né fine incessantemente forniti di nuovi risvolti, da cui pure l’intero, e quanto si stabilisce e decorre nella cera dell’unico corpo, non si lascia distrarre –, e le durate infine si corrono incontro. Un cortocircuito, per cui ogni cosa sembra riconoscersi e può soltanto essere vissuta, nessuna parola essendo reale… Tutto questo; stella che fila su stella. Non voglio aggiungere altro.

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