Come ogni martedì fino al 5 giugno, Gianluigi Rossini commenta per Snaporaz i singoli episodi dell’ultima stagione di Succession, la migliore serie TV degli ultimi dieci anni. 

Come sapete se state seguendo questo commento seriale, Succession ha portato avanti fin dall’inizio dell’attuale stagione una linea narrativa sulle elezioni presidenziali, relegata sullo sfondo ma sempre presente: in tutti gli episodi tranne il terzo (quello della morte di Logan) c’è sempre stata un’informazione in più o un riferimento. Questa trama era stata messa in moto nella stagione scorsa: il presidente uscente (“the raisin”, rimasto senza nome e senza volto) aveva deciso in corsa di ritirare la sua ricandidatura, a causa delle pressioni esercitate dalla ATN per conto di Logan. Era poi stato lo stesso Logan, su consiglio di Roman, a favorire la vittoria dello spaventevole estremista Jeryd Mencken alle primarie del Partito Repubblicano. Più che un equivalente di Trump, Mencken è un esemplare di quel populismo di destra che seduce una parte consistente dell’elettorato occidentale a colpi di xenofobia e di retorica antisistema, sconfina giovialmente nel fascismo e non si fa scrupoli a incendiare il clima generale. Sintetizza sempre efficacemente Shiv: Mencken fa paura perché non solo «dice le cose brutte, ma crede nelle cose brutte». La marea montante della trama presidenziale arriva finalmente a compimento in America Decides, episodio chiave la cui sceneggiatura è firmata in prima persona dal creatore Jesse Armstrong.

La notte delle elezioni coincide con la prima volta in cui i ragazzi sono davvero al potere: nella trattativa con Matsson pensavano di esserlo ma lui li ha scavalcati, negli episodi successivi dovevano tenere conto della vecchia guardia. Stavolta invece sono in ATN, nel cuore dell’impero, e da loro soltanto dipendono decisioni che avranno conseguenze dirette sulle sorti degli Stati Uniti e di tutto il mondo. Stavolta, mentre loro elaborano macchinazioni e fanno telefonate, tanto Matsson quanto i vari Karl e Frank restano impotenti davanti al televisore come spettatori comuni. Per fortuna Succession è sempre Succession, quindi i Roy non sono diventati i segreti dominatori del mondo, non hanno realmente il potere di scegliere il presidente: fanno però parte di un ristretto club di uomini – quasi solo persone di sesso maschile, sì – in grado di influenzare significativamente gli eventi. A ben rappresentare ciò, l’episodio è costruito come una catena di dubbi, reazioni, scelte, conseguenze che forzano altre scelte: un collegio elettorale del Wisconsin viene incendiato, probabilmente da sostenitori di Mencken, e 100mila voti spariscono nel nulla. È una contea che tradizionalmente vota per i democratici, ma all’improvviso il mantra di Connor “finché le urne sono chiuse tutto è possibile”, più volte ridicolizzato, diventa terribilmente reale. Saranno i tribunali a decidere la materia, ma nel frattempo Roman preme perché la ATN assegni il Wisconsin ai repubblicani, il che li costringerà poco dopo a dichiarare Mencken presidente, prima che sia vero. Come si ribadisce più volte, la ATN non può decidere il risultato del voto, ma così facendo ha legittimato l’autoproclamazione di Mencken e, in caso di rovesciamento del verdetto, ha preparato il terreno a una rivolta popolare, in un clima di elevatissima tensione sociale di cui ha fatto le spese anche Sophie, la figlia adottiva di Kendall. 

Restano due episodi e l’atmosfera si fa sempre più cupa. Sapevamo che non sarebbe andata a finire bene, ma qui la posta in gioco si è alzata di molto: l’inquietante discorso di Mencken prelude a un destino terribile che incombe sul mondo intero. Che cosa ci dirà, quindi, il finale di Succession? Che i mostri sono arrivati, le difese crollano, tutto è perduto? Oppure che la democrazia statunitense funziona ancora, nonostante tutto, e possiamo avere un po’ di fiducia nel futuro? Io temo che si vada verso il disastro, ma penso anche che nel disastro si nasconda una visione a suo modo positiva, contraria al nichilismo diffuso. Roman, che forse ha trovato in Mencken una nuova figura paterna, nelle ultime scene dice che comunque vada non succederà nulla, è stata solo una serata di grande tv. Le cose succedono, invece, lo sa Shiv e lo sappiamo anche noi: i limiti istituzionali a volte sono simbolici ma servono, perché quando tutto è permesso prima o poi il giocattolo si rompe. 

Considerazioni sparse

I due episodi restanti sono stati scritti da Jesse Armstrong e diretti da Mark Mylod, coppia che ha regalato grandi momenti. Armstrong in questa stagione ha firmato ben cinque episodi, molto più che nelle precedenti. 

È scorretto e limitante leggere Succession come un racconto a chiave, in cui cercare il corrispettivo reale di ogni cosa. Però penso anche che non cogliere alcuni riferimenti renda l’esperienza di visione meno comprensibile e meno appassionante, e forse anche da ciò dipende il mancato successo della serie in Italia. In questo episodio la ATN (che richiama FoxNews) teme la concorrenza di Freedom Voice America e VeraNews (corrispettivi di One America Network e Newsmax, canali tv ancora più a destra di FoxNews). Il commentatore politico criptofascita Mark Ravenhead è un tipo alla Tucker Carlson, che si è costruito un suo culto dentro la Fox ed è stato recentemente cacciato. PGN è un misto tra la CNN e la MSNBC, ma richiama anche il «Wall Street» Journal, che fu acquistato da Murdoch. C’è la memoria delle elezioni del 2000, in cui tutte le emittenti nazionali assegnarono la Florida ad Al Gore, cosa che si rivelò poi falsa; e ovviamente delle elezioni del 2016, vinte da Trump con uno scarto ridottissimo. Insomma: le migliori serie USA sono culturalmente molto specifiche e molto local, come accade per qualsiasi altro paese. 

Non sfugga il sessismo implicito nuovamente diretto contro Shiv, evidente nelle varie accuse di isteria e squilibrio che riceve da Roman e perfino da Tom.

Non sfugga neanche che Greg ha segnato un altro punto con Kendall, come in ogni episodio da Kill list in poi. Shiv forse pensava di essere troppo più in alto di lui perché potesse danneggiarla e lo ha sottovalutato. Non dovremmo farlo neanche noi. 

Sophie, la figlia di Kendall, è adottata, lo ha detto Jesse Armstrong nel podcast ufficiale. Non credo che nella serie questa cosa sia mai stata resa esplicita.

Il discorso di Connor (insieme alla scena del wasabi) è la perla comica dell’episodio. Ultimamente stava diventando troppo facile empatizzare con lui, dunque hanno pensato di ricordarci quanto sia un orribile idiota come tutti gli altri.