Alle 7 e 47 io e mio fratello eravamo nel Thameslink che da London Bridge ci avrebbe portato all’aeroporto di Gatwick. Da Londra saremmo andati a Roma, e poi in treno a Firenze. Un viaggio senza logica: dubbio risultato di una settimana passata a incrociare i bollettini del medico internista con i presagi della mamma e le rotte di Skyscanner. All’altezza di East Croydon i nostri telefoni avevano squillato all’unisono: «Fate presto». «Sì», abbiamo risposto, ma senza sapere se fosse una bugia o la verità. Potevamo solo sperare che il volo VY6229 fosse sincronizzato con il numero di battiti rimanenti nel cuore della nonna.
Una volta In aereo, seduta al posto 23C lato finestrino, mi sono messa a leggere Sul Meridiano di Greenwich, di Shady Lewis. Il primo romanzo ad avermi appassionata dopo settimane in cui mi sembrava che le cose si fossero zittite e le parole fossero soltanto simulacri. Racconta di un giovane siriano che muore all’improvviso in un appartamento a Londra, città in cui non ha né amici né parenti. La procedura in questi casi prevede la certificazione burocratica del decesso, e una sepoltura d’ufficio nella sezione islamica del cimitero di Nunhead. Nessun testimone, nessuna cerimonia, nessun riconoscimento.
Ho pensato che ci sono moltissime morti non viste, e che io volevo vedere.
Molly Conisbee, storica sociale e ricercatrice presso il Centre for Death and Society alla University of Bath, nel libro No Ordinary Death, ricostruisce la vita di Mary Yen. Mary, nata in Inghilterra a fine Settecento, era una death-watcher, un’ostetrica del fine vita. In Europa, prima che la morte venisse medicalizzata, e la religione di stato reclamasse il primato sull’interpretazione del trapasso, erano le watcher come lei ad accompagnarla, ufficializzarla e divinarla. Sapevano distinguere i segni fisiologici del suo approssimarsi: le allucinazioni, il respiro corto e l’allungarsi del sonno; e potevano ritardarla con tecniche magiche, per esempio mettendo un sacchettino di penne di piccione sotto il materasso. La veglia al morente era cruciale per il mantenimento del contratto tra i vivi e i morti. Non farlo, sarebbe stato foriero pericoli e minacce: l’anima poteva essere rubata dai demòni, o restare in eterno sospesa nell’interregno tra la vita e la morte.
La mia educazione ateo-razionalista mi impedisce di credere negli spiriti malvagi, ma ero certa di voler essere nello stesso spazio fisico di mia nonna, rapportarmi al suo corpo con il mio: guardarla. Intanto mi affidavo a oggetti transizionali. La notte prima avevo
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