Negli ultimi mesi si è parlato molto di un ritorno al cantautorato “artigianale” contro i trapper “tecnologici”, complice Sanremo e gli exploit di Brunori Sas e Lucio Corsi: una narrazione nella quale da una parte stanno “i buoni” e dall’altra “i cattivi”. Ma siamo proprio sicuri che non siano due facce della stessa medaglia chiamata “musica di consumo”? Per capire di cosa stiamo parlando abbiamo pensato di fare qualche domanda a un pezzo grosso della musica italiana che è riuscito in modo camaleontico – ma senza aporie – a mettere insieme cantautorato e tecnologia, ponendosi sempre una spanna sopra i suoi colleghi, o – per parafrasare uno dei suoi dischi più iconici, citato anche da Vasco Rossi in Siamo solo noi – nel perfetto mezzo Tra demonio e santità. Costui è Alberto Fortis: curriculum di oltre mezzo milione di copie vendute nel mondo, due dischi d’oro e uno di platino, collaborazioni internazionali incredibili. Ricordato per la velenosa Milano e Vincenzo (col video curato da Andrea Pazienza) come per la dolce Settembre, il nostro nella sua carriera è andato ben oltre, scrivendo anche pagine di cantautorato sperimentale che possono essere un metro di paragone per la situazione attuale. E che per questo andiamo tosto a sviscerare.
Ciao Alberto, sono felice di avere il privilegio di poterti intervistare. Vorrei cominciare approfondendo un periodo storico della tua produzione che è quello dell’84-85 (e del resto quest’anno è l’anniversario dell’album West of Broadway, 1985).
Vedo che sei preparato, mi citi un album su cui il grosso pubblico non è sensibilizzato (ride).
Esatto, e voglio sensibilizzarlo io. Perché secondo me, questo disco – oltre a essere un punto di svolta per la tua carriera – rimane uno dei pochi album sofisti-pop fatti in Italia: roba alla Style Council ma anche vicina al city pop giapponese. E viene da un periodo di forte azzardo, perché il precedente El Niño, del 1984, era un disco molto sperimentale, tra l’altro uno dei miei preferiti. Raccontami un po’ di questa tua ennesima metamorfosi.
Ti svelerò questa chicca, che forse non è mai stata detta nelle interviste.
Prego, sono tutt’orecchi.
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