Tutti sanno chi è Terminator: l’assassino cibernetico dai muscoli ipertrofici è entrato oramai nella mitologia collettiva. Pochi però sono al corrente del fatto che a ispirarlo (o comunque ad anticiparlo) è stato un romano che rispondeva al nome di Stefano Tamburini. Il creatore del turbocoatto RanXerox, disegnato dalla penna di Tanino Liberatore, è stato un visionario agitatore culturale a 360 gradi che, oltre ad aver fondato le riviste più controverse della nostra storia peninsulare (ovvero «Cannibale» e «Frigidaire»), ha anche sperimentato con i media, la moda e la grafica. Plagiario creativo, postmoderno di borgata, il suo motto era: “Tutto è già stato detto: l’importante è avere un pubblico che non se lo ricorda”. La sua stella si è spenta nel 1986 a causa di un’overdose di eroina. Ma fino al 25 agosto potrete vederlo resuscitato nella sua arte, grazie a una mostra al MACRO di Roma curata da Matteo Binci e Valerio Mattioli: Accelerazione. Per saperne di più abbiamo intervistato il sodale musicale di Tamburini, ovvero il grande Maurizio Marsico aka Monofonic Orchestra: mito della new wave italiana anni Ottanta.
Bene Maurizio, iniziamo con il raccontare il tuo rapporto con Tamburini, la vostra amicizia: che mi sembra fosse simbiotica. Tu eri il braccio musicale di «Frigidaire» e lui quello grafico: entrambi eravate degli “ideologi” pieni di risorse. Come vi siete conosciuti?
Per telefono nell’autunno del 1981, quando Stefano mi rivelò di aver assistito a ben due dei tre concerti che tenni a New York quella stessa estate: al club Underground sulla Broadway, in zona Union Square sotto la nuova Factory di Warhol e nella galleria InRoads a Soho specializzata in installazioni sonore. Furono due eventi sempre a nome Monofonic Orchestra ma totalmente diversi.
Morale della favola?
Stefano mi vide ma non si palesò, lo fece al telefono per dirmi di aver registrato il concerto di InRoads e chiedermi se potevo concedergli la licenza per utilizzarne qualche brano per un suo progetto (che divenne Thalidomusic for young babies). Naturalmente fui d’accordo e quello fu il singolare inizio di una bella stagione, al tempo stesso splendida e tragica. Non so se fossimo ideologi, personalmente non credo. Se però intendi lavorare con le idee piuttosto che con le ideologie direi di sì, ma penso piuttosto che fu soprattutto un vero e proprio incontro tra artisti. Artisti senza alcuna puzza sotto il naso, che avevano letto qualche libro, fatto qualche cosa e credevano che in fondo i sogni potessero avverarsi. Alcuni si avverarono, ma anche qualche incubo, tra cui il peggiore.
Ricordiamo Tamburini, a parte per le sue geniali grafiche di «Frigidaire», per le sue creature a fumetto come RanXerox e Snake Agent. Nel primo caso, dopo un periodo in cui ne era il disegnatore, ha lasciato le matite per Tanino Liberatore. Nel secondo caso, operando un mix di vignette degli anni Quaranta deformate dalla fotocopiatrice, ha praticamente annullato il concetto di autorialità del disegno. È un po’ la stessa operazione che fece – in musica – con il progetto Mongoholy Nazi: ce ne parli?
Quel progetto forse lo immaginava neocostruttivista alla László Moholy Nagy, una sorta di Bauhaus sonora, con field recording ready made sonori e compagnia briscola, tra cui brani miei, di David Thomas, Pere Ubu e altri, resi irriconoscibili o quasi.
Questo contenuto è visibile ai soli iscritti
Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.