Credo ci possano essere pochi dubbi sul fatto che M – Il figlio del secolo – diretta da Joe Wright e scritta da Sefano Bises e Davide Serino – sia uno dei vertici della serialità italiana, per un gran numero di motivi. Si è scritto molto dell’interpretazione di Marinelli, ma da Barbara Chichiarelli in giù il livello della recitazione è costantemente alto, favorito d’altra parte da un’ottima sceneggiatura e dalla coerenza dell’insieme. Si è ovviamente usata la metafora del “lungo film”, ma in realtà è proprio l’articolazione in episodi a creare un’appassionante successione di trionfi e sconfitte che approfondisce la caratterizzazione dei personaggi mettendoli in situazioni sempre nuove, contrariamente alla diffusa abitudine a ridurli a un unico elemento drammaturgico (la rabbia, l’ambizione, la coscienza tormentata, etc.). Mussolini passa dal dover fare i conti con l’ombra di D’Annunzio al dover evitare di essere sbranato dagli stessi “cani” che ha aizzato contro i suoi nemici; è ottuso e vigliacco e allo stesso tempo arguto e coraggioso.

M, va detto, è anche una delle serie italiane più costose di sempre: dai dati del Ministero risultano 65 milioni di euro, una cifra monstre per gli standard nostrani, pur in quadro di complessivo aumento dei budget. I soldi non fanno la riuscita estetica – basti pensare al disastro di Django, costata 43 milioni e del tutto inguardabile – ma quando sono ben spesi si vede: migliaia di comparse; numerosissimi ambienti di grande forza visiva, dal Bottonuto di Milano al salotto futurista di Margherita Sarfatti; costumi attentamente scelti e in continua evoluzione, un contributo fondamentale alla caratterizzazione dei personaggi; la qualità della fotografia e della color correction; la colonna sonora di Tom Rowlands dei Chemical Brothers. 

Va detto anche che da M non bisogna aspettarsi una fedele ricostruzione dell’avvento del fascismo, e nemmeno una rappresentazione dell’ur-fascismo da applicare meccanicamente ai nostri tempi. Il punto di vista è ristretto a quello di Mussolini, molto più che nello stesso romanzo di Scurati, e in questo modo si sale a un livello ancora più astratto, quello dell’ambizione e del potere: siamo, in sostanza, più dalle parti del Riccardo III che del Conformista o della Marcia su Roma.

La storia, nella serie, c’è: si potrebbe iscrivere M in quell’ampio filone di period drama pop che giocano con il passato, reinterpretando eventi e figure storiche in chiave contemporanea senza inibizioni né soggezione, come The GreatDickinson La favorita. La pacchianeria sparona spesso utilizzata in questo genere è perfettamente coerente con la pacchianeria sparona del protagonista e del fascismo in generale; per di più, essendo ambientata al principio del secolo dei media, M può abilmente mescolare i costumi d’epoca con l’uso frequente di arcaismi visivi – spezzoni di documentari, sequenze in bianco e nero, fotografia espressionista – e un montaggio da videoclip, una colonna sonora techno e chiari riferimenti al presente. I passaggi storici però ci sono tutti, e a ben pensarci non è così facile trovare prodotti audiovisivi in grado di mettere in fila in così efficacemente la catena di eventi che portò dalla fondazione dei fasci di combattimento alla presa del potere. Com’è ovvio, l’adesione a un punto di vista ristretto comporta alcune semplificazioni, dunque più ci si allontana da Mussolini più le figure si fanno generiche: i socialisti sono una massa indistinta di vittime, riassunte infine nell’unica voce di Matteotti, così come

Questo contenuto è visibile ai soli iscritti

Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo.

Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.