VÉRONIKA: Quando ero al cesso ho pensato a voi. C’era una scritta che diceva: LA MIA SMANIA DI AMARE SI APRE SULLA MORTE COME UNA FINESTRA SI APRE SU UN CORTILE. Sotto qualcuno ha scritto: SALTA, NARCISO.
Film leggendario, mitizzato e invisibile, quasi inedito in homevideo (in rete si trovava a fatica la registrazione di un vecchio Fuori orario o un riversamento del pessimo e incompleto dvd giapponese), ma anche film impopolare e per pochi, forse inguardabile tutto di fila (dura tre ore e quaranta minuti), La Maman et la Putain di Jean Eustache viene distribuito restaurato nelle sale italiane. Girato nel maggio 1972, Gran premio della giuria a Cannes 1973, ha per protagonista Alexandre (Jean-Pierre Léaud), un trentenne parigino nullafacente che ama le donne (dando loro sempre del “vous”) e che, per superare le sue inadeguatezze, propone a quasi tutte di sposarlo e di fare un figlio; traumatizzato dall’aborto di Gilberte (Isabelle Weingarten), una sua compagna che poi sceglie di sposare un altro uomo, si divide tra l’infermiera Véronika (Françoise Lebrun), la putain del titolo, dalla cui libertà sessuale è turbato, e la più rassicurante Marie (Bernadette Lafont), proprietaria di una boutique, la maman di qualche anno più anziana di lui, con cui pratica con vari risultati la politica della coppia aperta. Fin qui nulla di strano per un film di quegli anni. Ma perché La Maman et la Putain all’epoca suscitò elogi e rifiuti davvero estremi? E ancora oggi si sottrae al discorso critico, al di là delle solite quattro banalità? Perché non assomiglia a nient’altro. Innanzitutto per il modo in cui è girato:
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