Il 27 luglio scorso è morto all’età di 72 anni uno dei maggiori compositori di fine Novecento, Wolfgang Rihm, autore, tra altri lavori di grande importanza, di un’opera che segnò la sua carriera fin dagli esordi: lo Jakob Lenz, la cui prima si tenne ad Amburgo nel 1978, tratto dal racconto che il drammaturgo ottocentesco Georg Büchner dedicò allo stesso protagonista dell’opera.
Composta da Rihm tra il 1977 e il 1978, l’opera si impose non solo per il suo indubbio successo, ma soprattutto perché introdusse un nuovo modo di concepire il teatro musicale: cresciuto alla scuola delle avanguardie musicali, l’allora ventiseienne Rihm – che si era fatto conoscere già nel 1972 in occasione della prima esecuzione di Morphonie al Donaueschingen Festival – con il Lenz si affermò sulla scena mondiale, dimostrando una straordinaria libertà di pensiero. Quando buona parte del teatro musicale era ancora impastoiato nei dogmi della «non-narratività», Rihm propose una visione completamente diversa, in cui attraverso un uso libero e indisciplinato di stili, pur mantenendo una sua precisa coerenza, andava recuperando la «tradizione», cosa che gli attirò le critiche di Pierre Boulez e Karlheinz Stockhausen, col quale, pure, Rihm si era perfezionato a Colonia tra il 1972 e il 1973. Una tradizione, tuttavia, che assume in Jakob Lenz il potere di una forza centrifuga e aperta, tale per cui l’universo che rappresenta risulta illimitato perché ha il centro in ogni punto.
Con lo Jakob Lenz Rihm ha contribuito a chiudere l’eredità storica delle avanguardie, andando verso una musica non condizionata da presupposti ideologici, ma aperta alle esperienze più diverse
Rispetto a molti altri compositori della sua generazione, tedeschi e non, nel corso della sua carriera Rihm ha saputo contemperare con gusto e intelligenza un’approfondita conoscenza artigianale del mestiere, di stampo antico, applicata in ogni genere, dal pianoforte solo alla musica da camera, dalla grande orchestra al teatro, con una continua ricerca di nuove vie compositive, senza mai lasciarsi rinchiudere nel recinto respingente della «musica per specialisti». Così, verrebbe da dire con naturalezza, proprio con lo Jakob Lenz Rihm ha contribuito a chiudere l’eredità storica delle avanguardie, andando verso una musica non condizionata da presupposti ideologici, ma aperta alle esperienze più diverse, sempre tenendo come riferimento una peculiare attenzione all’espressività. Fu così che egli divenne il principale esponente della corrente denominata «Neue Einfachheit» (Nuova Semplicità) in contrapposizione con i fedelissimi postweberniani di stampo strutturalista. La definizione, che voleva essere polemica, nacque negli ambienti dei festival di musica contemporanea, per designare una tendenza solo apparentemente indifferente alle problematiche della sperimentazione, in quanto sperimentava in realtà molto più di alcuni sterili epigoni dell’epoca d’oro delle avanguardie post-belliche. Jakob Lenz è, sotto questo profilo, uno dei lavori più rappresentativi di Rihm e ha resistito all’abituale, impietosa usura del tempo verso quanto produce la musica contemporanea, e, di fatto, si può dire che sia una delle pochissime opere di repertorio nel teatro musicale degli ultimi decenni.
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