Adriano Prosperi, classe ’39, è uno dei più importanti storici italiani. Professore emerito di Storia moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa, accademico dei Lincei, Prosperi ha dedicato la sua carriera all’indagine della storia moderna italiana, apportando contributi decisivi alla storia dell’Inquisizione romana e indagando le forme e l’affermazione dell’egemonia cattolica in Italia dopo il Concilio di Trento.
Già in un agile saggio pubblicato per Einaudi nel 2021, intitolato Un tempo senza storia, Prosperi esprimeva la sua preoccupazione per la comparsa di una strana malattia del pensiero occidentale: la perdita di memoria collettiva e l’oblio della storia recente. Prosperi è tornato ad affrontare questo tema, da un punto di vista diverso, con il suo Cambiare la storia (Einaudi, 2025), dedicato a un fenomeno curioso e sintomatico: la creazione di falsi storici. Perché sentiamo il bisogno di cambiare la storia? E quali forme assume oggi questa falsificazione?
I.G.: Partiamo dalla cancel culture. La parola compare già in copertina; si tratta di un tema molto complesso, per la quantità di posizioni e rivendicazioni diverse ospitate in quell’universo. Secondo lei da dove nasce l’esigenza di cancellare una parte della storia?
A.P.: Nasce dalla tendenza a guardare l’epoca dell’affermazione del dominio europeo sul resto del mondo col distacco critico di chi pensa agli esiti umanamente drammatici che questa conquista ha portato con sé, come la fondazione di imperi coloniali o la messa in stato di schiavitù di intere popolazioni. Un dominio di cui oggi abbiamo sotto gli occhi le tristi conseguenze, come l’immigrazione da paesi devastati dallo sfruttamento. È cambiato lo sguardo sul passato: nell’Ottocento, durante l’affermazione delle grandi potenze europee, la glorificazione degli scopritori e dei conquistatori faceva parte dell’insegnamento della storia. Oggi i rapporti di forza sono cambiati. Ciò che ci pesa è la conseguenza della devastazione di intere culture e di un rapporto di dominio di cui nessuno si gloria più.
I.G.: La storia, come lei stesso l’ha definita in suo libro, è “una macchina per dimenticare”: siamo noi a decidere cosa ricordare e cosa lasciarci alle spalle. La cancel culture non fa proprio questo? È un cambiamento di prospettiva collettivo. Cosa c’è di male in questo, secondo lei?
A.P.: Non è una novità. Da sempre si seleziona quello che si vuole trasmettere ai posteri, e fin dall’inizio questa è stata la chiave di nascita della storiografia. Oggi lo sguardo sulla storia si è fatto preoccupato. Se guardiamo all’epoca che va dallo sviluppo industriale nel Settecento fino a oggi, ci appare sempre più evidente il costo di una storia che sta minacciando la nostra stessa esistenza fisica sulla Terra.
I.G.: Il suo ultimo libro parla di falsi storici. Perché raccontare queste storie? Nel passato allo storico si chiedeva solo e soltanto la verità dei fatti.
A.P.: La lotta per la verità è importante. La storia non è una materia riservata agli studiosi, ma ci appassiona tutti. Quando nasciamo, entriamo nella storia e cerchiamo di capire cos’è successo prima di noi. Ma non sempre quello che è accaduto ci sembra piacevole o positivo, al contrario. Così nascono i falsi storici: dal desiderio di cambiare il passato. Sappiamo tutti che il passato è di per sé immodificabile; tuttavia il tentativo che viene messo in atto è quello di inserire nel passato qualcosa che si vuole che venga a far parte della storia, nell’interesse di una cultura, di un gruppo, di un potere – pensiamo, ad esempio, al potere temporale dei papi. Così i documenti vengono falsati. Si introducono documenti per fare in modo che il passato appaia diverso da com’è.
I.G.: Una delle tesi più interessanti che cita è quella di Marc Bloch, apripista di questo filone di ricerca: il falso prospera in una società che ha già in sé il movente o l’interesse per crederci. O, come diceva lui, un “terreno di coltura favorevole”.
A.P.: È così. L’osservazione di Bloch è straordinaria. E a sua riprova possiamo osservare come non tutti i tentativi di falsificare il passato hanno avuto lo stesso successo. Anche quei pochi casi che ho esaminato nel libro lo dimostrano. Laddove c’è un vero interesse latente, la falsificazione avrà una durata più lunga e sarà più difficile da cancellare.
I.G.: C’è un’altra tesi che si ripete più volte nel libro, quella dello storico statunitense Anthony Grafton, che ha studiato a lungo i falsi storici. Grafton li avvicina a giochi di creazione letteraria, ma lei non pare condividere questa posizione. Perché?
A.P.: Il saggio di Grafton che cito, intitolato Falsari e critici, è molto intelligente, ma coglie soltanto un aspetto della questione. Per lui i falsi sono sfide letterarie, Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti