Gigio Bellandi, che aveva dodici anni nell’estate del 1972, quella in cui è ambientato Settembre nero, mette in chiaro le cose fin dall’inizio: l’attimo perfetto, prolungabile a oltranza nella parola, non può che avere una coda tragica.
Ciononostante, la pace della villeggiatura familiare sulla spiaggia versiliese, ambientazione della vicenda, non è davvero interrotta dal misterioso fatto di sangue che coinvolge i loro vicini di ombrellone, la famiglia Raimondi. Del giallo, qui, non c’è neanche il pretesto: il delitto è in sottofondo, l’indagine e le soluzioni non sono cruciali. Le familiarità autentiche di Veronesi, in Settembre nero, sono con la grande tradizione italiana dell’adolescenza di provincia, in un’atmosfera intrisa di Cassola, Bassani e Bilenchi che, se non bastasse l’ambientazione mezzo secolo fa, conferisce al libro una patina vintage. Né si può dire che la quiete della famiglia Bellandi venga infranta dalla tragedia collettiva, memorabile, che in quello stesso settembre del 1972 vide il sequestro e l’uccisione degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco da parte di un commando palestinese, e coincise con l’interruzione di un’ideale (ma mai davvero praticata nella modernità) pax olimpica.
La cronaca rimane sullo sfondo dell’indagine retrospettiva di Gigio, ormai sessantenne, intorno a quell’estate, ai suoi genitori e all’amore per la coetanea Astel Raimondi. L’amarezza nostalgica di una considerazione di Gigio («furono proprio le Olimpiadi a porre fine ai giorni più belli della mia vita – producendone di più belli ancora, all’apparenza, ma solo perché dovevo ancora scoprire che il meglio è nemico del bene, come dice il proverbio») appare una falsa pista per cogliere il succo di quanto succede alla famiglia Bellandi. Nelle esistenze delle persone medie – e quella che andiamo a leggere si dichiara come la storia di una cacciata dal paradiso rassicurante e medio dell’infanzia borghese di una persona qualunque nell’Italia degli anni Settanta – la grande storia non ha alcuna influenza tangibile, a meno di non esserne colpiti direttamente e non diventarne i bersagli: Gigio stesso se ne rende conto quando tutto è già precipitato e la sterminata villeggiatura della sua infanzia è conclusa: «Sì, il senso di colpa mi ha protetto, perché segnalava che in quel disastro c’era qualcosa di mio che sopravviveva, e di mio soltanto […] Significava che le decisioni venivano prese sopra la mia testa, sì, ma quello per cui soffrire lo decidevo io».
Come muore l’estate di Gigio Bellandi? Spiegarlo vorrebbe dire togliere al romanzo la sua arma principale: il piacere di raccontare una vicenda portando il lettore passo passo a scoprirla, senza giudizi. In un panorama editoriale di romanzi-che-fanno-altro, contenitori polivalenti in cui le storie servono a riparare il mondo, spiegare cosa è giusto e cosa non lo è, Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti