L’ultimo romanzo incompiuto di Guido Morselli avrebbe avuto probabilmente come titolo Uonna, crasi di “uomo” e “donna”, e avrebbe raccontato la vicenda di Fenimore, un cosiddetto anafrodito, creatura dalla sessualità indefinibile e dalle doti canore eccezionali. Il narratore è il talent scout che ne scopre le qualità e ne racconta le vicissitudini. Morselli lavorava a questo progetto ancora negli ultimi giorni della sua vita, nel luglio del 1973, e nei suoi appunti è indicato come sottotitolo provvisorio «l’amore visto con “occhio” asessuato» (lo scrittore aveva aggiunto un sottotitolo anche ai romanzi Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo e Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva).
Il materiale relativo a quest’opera è totalmente manoscritto, la bozza consta di una trentina di pagine più il materiale preparatorio, custodito all’interno di una cartellina in un fascicolo della quale, dopo un attento esame della ostica grafia dello scrittore, si legge questo:
Quando è Fenimore che parla di sé in prima persona
Fenimore possiede discretamente l’italiano (ereditato dalla madre) e l’inglese (che è la lingua del padre) (…) Nel racconto userà l’Italiano ma con una certa approssimazione, anche perché rifiuta di assegnarsi uno dei due generi grammaticali di cui l’italiano dispone, il maschile e il femminile (ma anche il neutro, come l’inglese e il tedesco). Dirà “io sono nat*” (per “io sono nato, o nata”), io sono content*” (per “io sono contento, o contenta”). Nel testo il lettore ne sarà avvertito in una nota, da attribuire all’Editore (Nota dell’Editore), nella quale si spiega che la desinenza mancante viene sostituita con un asterisco. Così: «Io sono nat*, io sono content*. ARRIVAT*, AMMALAT*, eccetera».
Morselli scrive questo, negli appunti preparatori del suo romanzo, il 9 luglio del 1973. Una ventina di giorni prima di uccidersi. Ad oggi, immaginiamo che questa sia la più antica testimonianza dell’uso dell’asterisco, come equivalente grafico dello schwa, finora attestata. Non solo: la scelta del simbolo dell’asterisco e la motivazione dell’uso che ne sarà poi fatto, a partire dalle stesse parole usate da Morselli per descrivere l’atteggiamento del suo “anafrodito” Fenimore nei confronti dei limiti della lingua italiana, è praticamente sovrapponibile alla spiegazione che fornisce Vera Gheno, che così si esprime in un lungo articolo, sul sito della Treccani:
L’apertura del ventaglio delle identità di genere verso “generi altri” crea una tensione con la tipologia della nostra lingua, che de facto prevede solo maschile e femminile. Dunque, chi non si riconosce in questo dimorfismo, prova un disagio dovuto all’incapacità di trovare una sistemazione all’interno del sistema-lingua (…) Le soluzioni adottate – tuttora in circolazione – sono molte, dall’asterisco (“Buonasera a tutt*”) alla chiocciola, all’apostrofo, alla barra; dalla u (“Buonasera a tuttu”) alla x, alla z, allo schwa (“Buonasera a tuttə”). Queste soluzioni […] rispondono ad almeno due necessità: quella di rivolgersi a una moltitudine mista e quella di parlare a una persona che non si riconosce nel binarismo di genere. Dunque, sarebbe forse corretto identificare questi tentativi come la ricerca non di un neutro o di un terzo genere, ma di una forma priva di genere (…) Nel 2019, era stato pubblicato dalla stessa casa editrice il mio libro , che accenna al tema dello schwa in un breve trafiletto di una decina di righe (pp. 184-185):«In italiano, alcuni tentativi per far riemergere una sorta di neutro hanno portato all’impiego, nello scritto, dell’asterisco in fine di parola: car* tutt*; un uso interessante e molto espressivo, forse più elegante del raddoppio care tutte e cari tutti, che può effettivamente diventare molto farraginoso, ma con un difetto che non può che limitarne l’impiego su ampia scala l’impronunciabilità.
Morselli ha spesso riflettuto e scritto sul tema della comunicazione tra gli esseri umani e tra i sessi in particolare, si leggano il suo Diario e le sue Lettere ritrovate, ma in modo più implicito i suoi racconti declinati al femminile risalenti agli anni ’70. Poco prima di morire riprende quel concetto di socialidarietà che compariva già in Roma senza Papa, addirittura come nuova virtù teologale, ma che ora postula come condizione necessaria ad una comunicazione sganciata dalla compromissione sessuale: quanto si perde, in termini di autenticità e reale condivisione, lasciando che la pulsione sessuale agisca fisiologicamente in un dialogo maschio-femmina? L’anafrodito Fenimore è pensato da Morselli allo scopo di eludere questa dimensione, quella “normalmente” sperimentata dall’umanità, e concepita come “normale. Non parliamo di omosessualità, transessualità o fluidità: parliamo di un’elusione della pulsione sessuale. Cosa accadrebbe se fosse possibile andare oltre questa? Davvero gli esseri umani comunicherebbero meglio?
Uonna, pensato e in parte scritto nel 1973, sarebbe oggi il romanzo più prepotentemente anticipatorio, di Guido Morselli. Quello più attuale, quello davvero profetico
È chiaro che oggi il tema si pone in altri termini e con altri presupposti, basti pensare al dibattito sul gender, alle definizioni identitarie legate proprio alla sessualità e al modo in cui questa viene vissuta: nel 1973 Morselli immagina Fenimore, un essere indefinibile da questo punto di vista, e ne fa il simbolo o il centro di una riflessione più ampia sui rapporti umani, certamente, individuando però senza dubbio nel tema sessuale il fulcro della questione. Ed è sull’identità di genere che si gioca quella riflessione: scrive nei suoi appunti preparatori Morselli che «Fenimore si immagina come un essere «ibrido (…) si è messa in testa di essere un precursore della società a-sessuale (…) compie indagini sulla condotta sessuale, dal suo punto di vista dell’innocenza o neutralità, servendosi di soggetti del voyeurismo passivo».
Per queste ragioni, legate da una parte all’utilizzo, curiosamente, dello stesso espediente o strumento che la lingua scritta mette a disposizione per cercare di dirimere la questione, ma dall’altra e ben più in profondità al tema centrale della vicenda narrata, Uonna, pensato e in parte scritto nel 1973, sarebbe oggi il romanzo più prepotentemente anticipatorio, di Guido Morselli. Quello più attuale, quello davvero profetico, se di dà all’aggettivo quel che gli si deve in termini etimologici, tutto sommato. Sulla fascetta rossa che avvolge la copertina gialla di un’edizione di Roma senza Papa, datata 2013 (anno delle storiche dimissioni di Papa Benedetto XVI), si legge: Un libro profetico. Di fronte all’imprevedibile e imprevisto vuoto seguito alle dimissioni di Ratzinger, insieme alla parabola del Papa Michel Piccoli, in crisi e in cura psicanalitica, descritta al cinema in Habemus Papam di Nanni Moretti, torna in auge, piuttosto forzatamente, l’ucronia morselliana di una Roma privata della presenza del Pontefice (in questo caso, spostatosi con tutta la sua “corte” e tanto di fidanzata a Zagarolo).
Lo scrittore è scomodato anche in occasione del lockdown: tra un’ondata e una chiusura persino il «New Yorker», oltre a qualche quotidiano nostrano, dedica spazio e un importante articolo alle tangenze emotive tra la vicenda personale ma ecumenica (coincidendo il personaggio/narratore con l’umanità tutta) dell’apocalisse solitaria vissuta e narrata dal protagonista di Dissipatio H.G., e l’angoscia dell’uomo medio occidentale, costretto dalla pandemia alla desolazione e alla solitudine, così come quell’ultimo uomo morselliano di fronte all’inspiegabile evaporazione dell’umanità. Lui escluso.
In queste occasioni Guido Morselli sopravvive a se stesso ma non come avrebbe desiderato, probabilmente, perché gli capita di andare oltre il proprio tempo inopinatamente e contro la propria volontà, lui che era ed è oltre le correnti letterarie e politiche, oltre le mode, oltre le logiche dell’editoria e spesso oltre il senso comune; oltre la vita (la sua, ovviamente) e oltre la morte (sempre la sua, certo).
È un narratore a ragione riconosciuto come postumo, per alcuni quello postumo per eccellenza nella letteratura italiana del ‘900, con tutto quanto questo comporta e ha comportato, compreso il tardivo riconoscimento della sua qualità di romanziere e quei ritorni sulla scena così legati alla contingenza storica, una Roma (momentaneamente) senza Papa e l’imperversare del Covid; “resuscitato” e recuperato (fuori tempo massimo per lui, purtroppo) al mondo editoriale dalla resipiscenza adelphiana, grazie a figure come quelle di Luciano Foa e Dante Isella, alla metà degli anni ’70, appena stabilito che quel colpo di pistola aveva provocato la morte di uno definito “genio incompreso del ‘900” o “Gattopardo del Nord”, senza aver potuto vedere pubblicata nemmeno una riga della propria narrativa mentre era vivo.
Le sorprese, con Morselli, sembrano non finire mai. Quest’ultima in particolare, freschissima, se non lo colloca nel campo della profezia ne conferma però la visione talmente ampia da portarlo ad essere senz’altro un anticipatore
Quanto gli sopravvive, a cominciare dalle sue incursioni ucroniche e controstoriche, può suonare davvero inquietantemente anticipatorio, perché sopravvissuto alla sua scomparsa al di là delle sue stesse ambizioni e aspettative. E se vicende di portata mondiale lo hanno fatto chiamare in causa, tutto sommato neanche troppo a proposito, e lo hanno (ri)proposto come autore profetico, una lettura più attenta e approfondita consente di osservare che è di nuovo l’inattualità rispetto alla sua contemporaneità a renderlo valido e leggibile in tutte le stagioni, allora, oggi e per sempre: perché accanto al noto mantra mutuato dal filosofo Rensi “etsi omnes ego non”, vi è un altro caposaldo del Morselli-pensiero che va ricordato: la sua assoluta sfiducia nei fatti e la rigorosa fede antistoricista. E dunque, che valore dare all’aggettivo profetico, quando un “fatto”, girando per inerzia sulla ruota dell’eterno ritorno, rischia di riproporcisi, appena mascherato dalle esigenze mistificatorie della contingenza, sempre uguale a se stesso? È sufficiente, all’intellettuale magari dilettante (come si voleva Morselli) ma con gli occhi aperti, attendere a riva del letto circolare del fiume della Storia, e il gioco è fatto, appunto.
Ma non era certo questo il gioco di Morselli, interessato senza dubbio alla visibilità come narratore ma non al successo che gli poteva venire dalla facile adesione all’andazzo culturale contemporaneo o alla fortunosa coincidenza di un evento immaginato e poi effettivamente accaduto. Morselli cercava le risposte nei libri e nella vita prima di tutto per se stesso, e non avrebbe certamente esultato vedendosi riconosciuto il titolo di profeta rispetto a due eventi così tanto “umani” (anti-antropocentrismo e antistoricismo vanno a braccetto), per quanto inusuali o clamorosi, come le dimissioni di un Papa e una pandemia: sia Roma senza Papa che Dissipatio scomodano categorie e temi che propongono interrogativi ben più allarmanti e sostanziali. Su tutti, l’unde malum, forse matrice di tutte le ossessioni dello scrittore.
Eppure, che lo scrittore riesca a stupire, con la riscoperta di nuovi materiali e quindi nuove uscite editoriali, è un dato oggettivo cui non si può opporre obiezione: grande romanziere, fine saggista, cronista del quotidiano, abile nella misura breve del racconto, pensatore eclettico e sociologo, sceneggiatore (per il cinema e per il teatro, certo mai rappresentato, ma se per questo, neanche pubblicato e letto, in vita), infine autore di un dizionario dietetico, ultimo parto editoriale che in realtà non stupisce gli studiosi che hanno compulsato i libri della sua biblioteca personale, custoditi oggi in quella Civica di Varese nel fondo che porta il suo nome, e che hanno avuto plurimi saggi della sua insaziabile curiosità ed ecletticità.
Le sorprese, con Morselli, sembrano non finire mai. Quest’ultima in particolare, freschissima, se non lo colloca nel campo della profezia ne conferma però la visione talmente ampia da portarlo ad essere senz’altro un anticipatore. Al di là del dibattito vivo sull’efficacia dell’uso dell’asterisco come equivalente grafico dello schwa, o della scelta di quest’ultimo come soluzione più inclusiva possibile, Morselli pensa a questa soluzione più di quarant’anni prima che la questione venga posta nell’uso e che i linguisti ne trattino dal punto di vista scientifico. E inventa un personaggio che per sua stessa ammissione oggi sarebbe forse ascrivibile alla categoria agender come identità di genere, e asessuale dal punto di vista dell’orientamento.
Milan Kundera parlava di un’immortalità ridicola, frutto indesiderato di un’azione che conduce qualcuno ad una fama imperitura non solo contro la propria volontà, ma addirittura consegnando a volte alla Storia una celebrità di cui vergognarsi. Per Morselli si potrebbe parlare invece di un’attualità involontaria, perché non cercata né bramata, visto l’antagonismo intellettuale mai nascosto verso la sua contemporaneità. E proprio per questo i suoi temi e le sue ossessioni continuano a inquietare e a chiamarci in causa, e in questo caso persino le strategie che lo strumento del mestiere, la lingua, lo costringevano a mettere in atto, lo restituiscono come autore se non profetico, all’avanguardia.