Un uomo un giorno se ne andò. Era febbraio. Dove andò? Non si sa. Ma da dove se ne andò? Se ne andò da una famiglia, una famiglia come tante, dalla donna che aveva sposata quattordici anni prima, dalla figlia che era nata dodici anni prima, dal figlio che era nato dieci anni prima; se ne andò dal lavoro all’Ufficio provinciale del Registro, presso il quale aveva preso servizio sedici anni prima; se ne andò dal quartiere nel quale viveva, e dove era conosciuto e apprezzato dai vicini per la cordialità, dai negozianti per la gentilezza, dal parroco per la correttezza morale, dal povero del sottoportico per l’immancabilità dell’elemosina.

Se ne andò, quest’uomo, anche dalla città? Non è dato saperlo. Se ne andò dalla provincia? Non è dato saperlo. Se ne andò dalla regione? Se ne andò dal suo Paese, per andare a vivere lontano? Non è dato, non è dato, non è dato saperlo.

Se ne andò, ecco tutto. Lasciò debiti? No, non ne lasciò. Si portò via tutti i soldi di famiglia? No: la moglie trovò la carta di credito e il bancomat sul tavolo della cucina; il conto corrente cointestato, controllato, risultò intatto. Lasciò detto, scritto perché se ne andava? No, la moglie si interrogò a lungo, e nulla le parve fosse stato detto; cercò ovunque, e nulla trovò di scritto. Portò con sé il telefono? No, lo lasciò in camera da letto, sul comodino, dove lo metteva sempre la sera per ricaricarlo: era ancora attaccato al caricabatteria. Se ne andò, insomma, come uno che se ne va.

Ma è sicuro che se ne andò? Sì, è sicuro. Ci sono ragioni per escludere che fosse stato rapito, che fosse stato ucciso casualmente o intenzionalmente, che fosse sprofondato in una voragine improvvisamente apertasi in Via Cavour e immediatamente richiusasi sopra di lui, che gli si fosse spalancata una botola sotto i piedi mentre provava un paio di pantaloni nella cabina di un grande magazzino? Sì, sì, sì, si deve escludere tutto questo: furono fatte delle indagini, e nulla risultò. Peraltro il bancomat, la carta di credito, il telefono lasciati a casa dicono chiaramente: non fu caso, ma intenzione.

Insomma: questo è un uomo che se ne andò perché aveva deciso di andarsene, giusto? Giusto. E la moglie non se l’aspettava proprio, giusto? Giusto. E i colleghi di lavoro, gli amici, tanto meno, giusto? Giusto, giusto.

Ma, per l’appunto, la moglie? Ah, la moglie ci rimase malissimo. Quando al mattino trovò la carta di credito e il bancomat sul tavolo della cucina si meravigliò, ma non si diede tanto pensiero. Quando la sera vide che il marito non tornava a casa dal lavoro, lo chiamò al telefono: il telefono squillò in camera da letto, e le vennero mille pensieri. Quando fu l’ora di mettere su la cena raccontò qualcosa ai figli, una riunione di condominio, una cena con i compagni del liceo – faceva, l’uomo, di tanto in tanto, delle cene con i compagni del liceo –, un salto dai nonni per vedere come mai il frigorifero faceva un ronzio esagerato: una cosa così. Quando furono le nove di sera non ce la fece più e cominciò a telefonare agli ospedali, al 118, in Questura, e le risposte negative che via via ricevette la spaventarono: la terrorizzarono. Disse ai ragazzi di stare a letto, di stare tranquilli, e andò in Questura: dove trovò un appuntato che la ascoltò, le fece delle domande, prese nota, scrisse un documento, le fece fare una firma, e prima di congedarla le ricordò che suo marito era un maschio adulto, e ai maschi adulti non si corre dietro – i poliziotti non corrono dietro – come si fa quando sparisce un bambino o un adolescente. La carta di credito e il bancomat lasciati bene in evidenza sul tavolo della cucina e il telefono lasciato in camera da letto costringevano a pensare a una partenza volontaria, e non si può impedire a un maschio adulto di partire volontariamente. Per una denuncia per abbandono del tetto coniugale bisognava aspettare.

Abbandono del tetto coniugale, ripeté la donna. Aspettare, ripeté. Uscì dalla Questura, nel freddo, e sentì molto freddo. Tornò a casa e non dormì, mentre i ragazzi dormivano. Li svegliò al mattino, li mandò a scuola, e alle loro domande rispose sempre che non sapeva, che poteva essere successo qualcosa ma anche no, che per il momento non era il caso di preoccuparsi. Telefonò allo studio medico dove lavorava come tecnica radiologa e disse che non stava bene, forse un’influenza. Telefonò all’Ufficio provinciale del Registro, al numero diretto di suo marito; al collega di suo marito che rispose spiegò che il marito era a letto, schiantato dall’influenza; poi telefonò di nuovo agli ospedali, al 118, in Questura. Contò fino a dieci, poi fino a cento, e telefonò ai suoceri per sentire come stavano. Tutto bene. Poiché non era mai successo che telefonasse loro a quell’ora, le chiesero se era successo qualcosa. Niente, disse, sono a casa con l’influenza, non so come passarmi il tempo. Il marito? È in ufficio, sta bene, non ha niente.

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Passarono tre giorni. I figli capirono: il padre se n’era andato. Avevano compagni di scuola il cui padre se n’era andato, la cosa non era del tutto nuova per loro; tuttavia, non avevano mai sentito di padri che se ne fossero andati così, senza dire niente, e peraltro senza che vi fossero stati, in casa, litigi o conflitti evidenti. Alla donna i due ragazzi non sembravano addolorati, o non ancora; sembravano più che altro stupiti, sbalorditi.

Tredici anni dopo arrivò la dichiarazione di morte presunta. La vita della donna aveva trovato un suo nuovo ordine. La figlia, ora ventitreenne, era incinta di quattro mesi, ma il fidanzato lavorava in banca e sembrava prendere la cosa sul serio; il figlio, ventunenne, chiamava via WhatsApp da Parigi due o tre volte la settimana, e pareva contento, anche se non si capiva di preciso di che cosa campasse: lavoretti, diceva, e pareva che facesse di tutto, dal pizzaiolo al lavascale; comunque non chiedeva mai soldi, viveva con due amici catalani, e nel video era sempre ben pettinato. Arrivò la dichiarazione di morte presunta e la donna telefonò al suo nuovo compagno, quello con il quale stava da quattro anni ormai, benché non avessero mai seriamente parlato di convivenza. Allora ci sposiamo, disse il compagno. No, disse la donna, non così presto. Sposatevi, disse la figlia, così ci sposiamo anche noi. È una scelta tua, mamma, disse il figlio, io ormai ho la mia vita qui. Hai il diritto di essere felice, dissero entrambi i figli. Si sposarono l’anno successivo, la donna e la figlia, lo stesso giorno, in municipio, col figlio della figlia che piangeva sempre perché era il tempo delle colichette. Il figlio da Parigi arrivò solo nel pomeriggio, accompagnato dal padre ormai calvo.

Questi sono i nomi: Alberto, l’uomo scomparso e dopo quattordici anni ricomparso; Vittoria, sua moglie; Laura e Lorenzo, i loro figli; Eugenio, il marito della figlia; Leone, il nuovo compagno della moglie, ora suo secondo marito. Che cosa accadde poi, lo sanno tutti.

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