Perché oggi si continua a leggere e ristampare Scerbanenco e non, che so, Betocchi o Bigiaretti? Evidentemente lo scrittore nato a Kyiv nel 1911 e morto a Milano nel 1969 riesce ancora a parlare ai lettori e a essere una fonte di ispirazione. L’etichetta di “padre del noir italiano”, in questo senso, gli garantisce un culto duraturo, dal momento che il noir, da qualche decennio, sembra uno dei pochi generi in grado di soddisfare l’esigenza di intrattenimento del lettore senza rinunciare a prestigio culturale, correttezza politica e rilevanza sociologica. Ed è per molti versi paradossale che il “padre” di questo noir inattaccabile che riempie oggi le librerie sia considerato uno scrittore che ha usato il genere per esprimere le paure del ceto borghese (nello specifico milanese) di fronte alle trasformazioni socio-economiche del Boom. Uno scrittore reazionario (che è cosa diversa dal dire “fascista”, come spiega Quentin Tarantino in Cinema Speculation a proposito di Ispettore Callaghan… il caso Scorpio è tuo! di Don Siegel), che ha descritto gli stessi mutamenti che hanno affrontato, prima di lui, autori molto diversi come Giovanni Testori, Umberto Simonetta e Luciano Bianciardi, adottando altre chiavi – che siano il populismo estetizzante di Il ponte della Ghisolfa o il ribellismo picaresco e anarcoide di Tirar mattina La vita agra. Scerbanenco è contiguo anche rispetto a un altro “borghese” milanese, Dino Buzzati, con cui condivide innanzitutto la passione per la cronaca nera; ma non arriva mai agli inquietanti sdoppiamenti e confessioni dell’autore di Un amore. Il limite di Scerbanenco è quello di non mettersi in gioco e di non interrogare i propri pregiudizi di classe; preso com’è da impossibili nostalgie passatiste e astratti furori, finisce per alimentare la paura del diverso (che spesso è solo il “giovane”, il “capellone” – come si diceva allora), coltivando al tempo stesso un ambiguo mito giustizialista che esploderà nel cinema poliziesco del decennio successivo. È una parabola rilevante e a suo modo centrale nell’immaginario narrativo (e cinematografico) italiano; ma il noir politicamente corretto che verrà dopo, per quanto spesso si dichiari suo figlio, ne sarà la negazione e l’antitesi.

Il repêchage più recente di Scerbanenco è Cinema fra le donne (La nave di Teseo, 2024), un feuilleton uscito sulla terza pagina del «Corriere della sera» tra dicembre 1942 e gennaio 1943, e di cui mi pare non si sia mai occupato nessuno.

Da qualche anno La nave di Teseo ha iniziato una riedizione delle opere di Scerbanenco, a cura della figlia Cecilia, che ha avuto anche il merito di fare un po’ di ordine filologico (chi sapeva che un paio dei racconti del Centodelitti erano di Oreste del Buono?) e di riportare alla luce interessanti inediti (come L’isola degli idealisti [1942-43], da cui Elisabetta Sgarbi ha tratto il film omonimo, dove la vicenda viene incupita e trasportata alla fine degli anni Sessanta) e testi dimenticati. Il repêchage più recente è Cinema fra le donne (La nave di Teseo, 2024),

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