Da circa un decennio, a Hollywood, “universo condiviso” è diventata la formula magica che accende l’entusiasmo dei produttori. Merito soprattutto del Marvel Cinematic Universe (Mcu per gli appassionati), la saga di film di supereroi divenuta nel giro di una quindicina d’anni il franchise cinematografico con i maggiori incassi della storia.
Anche io ho dato il mio piccolo contributo al suo successo. Per molto tempo sono andato puntualmente a vedere ogni nuovo film dell’Mcu. In una sorta di rito che si ripeteva due o tre volte all’anno mi presentavo al cinema sempre in compagnia degli stessi amici. Cosa insolita per me, abituato a vedere i film da solo, ma per quei cinecomic facevo un’eccezione perché parte integrante del piacere (e del rito) di vederli consisteva nel discutere insieme fuori dal cinema e nel tragitto di ritorno. Non dibattiti da cineforum, ovviamente, anche perché i discorsi non vertevano tanto sul film che avevamo appena visto, quanto sulle ipotesi di ciò che sarebbe accaduto nei prossimi.
Del resto, i film Marvel sono pieni di elementi (ad esempio le famose “scene dopo i titoli di coda”) utili ad anticipare le pellicole future. Una strategia di marketing? Sicuramente sì, ma non solo. Quelli che in gergo vengono chiamati foreshadowing aggiungono qualcosa di molto importante a quei film: la percezione che siano parte di qualcosa di più grande, che eccede la dimensione limitata del singolo lungometraggio, qualcosa che va sviluppandosi nel tempo. Insomma, quello che l’Mcu dava a me e ai miei amici non erano solo dei film (che, peraltro, spesso erano blockbuster mediocri), ma il gusto di veder dipanarsi un disegno sempre più complesso, di credere nel futuro di quel disegno.
Cheng abbozza una teoria della pratica del worlding, cioè della creazione di quei particolarissimi costrutti culturali che sono i mondi immaginari
Ecco, qui sta il punto secondo Ian Cheng, artista contemporaneo americano e autore di Fare mondi, saggio appena portato in Italia da Timeo nella traduzione di Assunta Martinese. Nel libro Cheng abbozza una teoria della pratica del worlding, cioè della creazione di quei particolarissimi costrutti culturali che sono i mondi immaginari. E la definizione di mondo immaginario, anzi di “Mondo” (scritto rigorosamente con la maiuscola) è appunto «un futuro in cui è possibile credere: un futuro che promette di sopravvivere al suo creatore e continua a generare svolte narrative».
Un Mondo, dunque, è un
Questo contenuto è visibile ai soli iscritti
Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.