In scena:
Anna, prima maestra
Sofia, seconda maestra
Una scuola
Un giardino
Un intero paese in una valle circondata dai monti
Alcune indicazioni:
/ tra due battute indica una pausa
// tra due battute indica un silenzio, un momento in cui accade qualcosa che non si può verbalizzare
Le didascalie sono da intendersi come materiali che possono essere impiegati in scena in diversi modi: possono essere considerate semplicemente come indicazioni utili alle interpreti o alla regia, suggestioni che possono essere liberamente tradotte sulla scena; oppure possono essere interpretate in scena dalle attrici, registrate, trasformate in immagini, riprese, proiettate. La scelta è libera, purché sia chiaro che quando ci sembra impossibile che qualcosa possa essere messo in scena, per difficoltà intrinseche, o perché indegno di rappresentazione, dobbiamo chiederci che cosa davvero ce lo impedisce.
La scuola è una vecchia scuola elementare, troppo grande per il numero di alunni che ospita oggi, con le mura in mattoni rossi, il tetto spiovente. C’è un giardino con un gigantesco abete.
È un tardo pomeriggio. I corridoi della scuola sono ampi e il suono dei passi rimbomba, adesso che non ci sono i bambini. Alle pareti sono appesi disegni fatti per un concorso di poesie e immagini sulla guerra (contro, la guerra). I bambini di diverse classi hanno scritto delle poesie e poi le hanno illustrate. Una poesia, con la sua illustrazione, è incorniciata in quanto opera vincitrice. Sotto alla cornice, con un pezzettino di scotch, è stato attaccato l’articolo di un giornale locale che riporta la trascrizione dei versi e la fotografia in bianco e nero del disegno.
Le porte delle aule sono tutte spalancate, dentro non c’è più nessuno. Siamo oltre l’orario del rientro pomeridiano.
Il carrello delle pulizie è fermo davanti all’ingresso dei bagni delle bambine al piano terra, qualcuno li sta pulendo. Passando oltre ci sono ancora un paio di aule, anche queste vuote, e in fondo, sulla destra, l’ingresso della sala insegnanti.
Sofia apre la porta ed entra. Ci sono pochi armadietti, un lavandino, una macchinetta per il caffè e un grosso tavolo al centro. A un primo sguardo la sala sembra vuota, invece nell’angolo accanto alla finestra, mentre fissa il grande abete che si trova in giardino, Anna sta mangiando una merendina.
ANNA Niente?
SOFIA Niente. Ho chiesto di telefonare a casa ma anche lì non risponde nessuno.
ANNA Ne vuoi un po’?
SOFIA Cos’è?
ANNA Farina di riso e cioccolato fondente.
SOFIA No, grazie. Abitano lontano?
ANNA Non mi pare. No, abitano in paese.
/
ANNA Erano gli ultimi per oggi, non deve più venire nessun altro, no?
SOFIA Per oggi no.
ANNA Secondo me a questo punto non vengono più.
SOFIA Se a casa non rispondono forse sono per strada.
ANNA Non hanno risposto neanche al cellulare. Nemmeno ai messaggi.
SOFIA Magari sta guidando.
ANNA Sai se doveva venire la madre o il padre?
SOFIA Non lo so.
ANNA Hai detto magari sta guidando.
SOFIA Sì, per dire. Di solito chi viene?
ANNA Dipende.
SOFIA Aspettiamo ancora dieci minuti.
ANNA Beata te che hai ancora tanta pazienza.
SOFIA Per me non è un problema. Però se è un problema per te. No, aspetta. Intendo dire che se sei impegnata possiamo andare.
ANNA Non sono impegnata. Se c’è da aspettare aspetto.
SOFIA Lo so. Scusa. Volevo solo dire che so bene che siamo già oltre l’orario. Ma per me va bene restare ancora un po’. Magari adesso arrivano.
ANNA Va bene, aspettiamo ancora un po’. Però lascia perdere la vocazione di cambiare i genitori, mi raccomando. Con i bambini puoi fare un ottimo lavoro, ma con i genitori quello che si poteva fare è stato fatto.
SOFIA Non ci penso proprio. Ho già provato a cambiare i miei e so come va a finire.
/
SOFIA A parte gli scherzi.
ANNA Io non scherzo. Sono serissima.
/
SOFIA Comunque è strano che non si presentino senza avvertire.
ANNA Può capitare, non sarebbe la prima volta. Non rimanerci male. Hanno tutti da fare e se lo dimenticano. Manderanno due righe di scuse e verranno al prossimo colloquio. Comunque non abbiamo nulla di urgente di cui parlare con i genitori di Azzurra.
SOFIA Azzurra è bravissima.
ANNA Fossero tutti come lei. Un po’ nel suo mondo forse, ma molto educata.
SOFIA È sempre molto precisa, infatti non mi spiego perché sia andata così con la capsula del tempo.
ANNA La capsula del tempo?
SOFIA Il progetto di cinema.
ANNA Ah, il progetto di arte.
SOFIA Sì, te ne ho parlato.
ANNA Lo abbiamo approvato insieme.
SOFIA Ma ti ho parlato del video di Azzurra, no?
ANNA No.
SOFIA No? Scusa. Sono tante classi nuove tutte insieme. È tutto nuovo per me.
ANNA Lo so. Qualcosa sfugge, è normale.
SOFIA In realtà mi sembra di avertene parlato.
ANNA Ma di che cosa?
SOFIA Del fatto che Azzurra ha raccontato una bugia.
ANNA Che bugia?
SOFIA Non è grave. Non è un problema la bugia in sé. Ma non è da lei.
ANNA Tutti a volte dicono delle bugie. Sono bambini.
SOFIA Sì, sì.
ANNA Stava coprendo i suoi compagni?
SOFIA No, non c’entrano nulla i suoi compagni.
ANNA Sicura? Qualcuno aveva fatto qualcosa? Azzurra è molto tranquilla di solito.
SOFIA Sì tranquillissima. E anche gli altri, penso che si siano divertiti. Il progetto è venuto proprio bene, sto per finire il montaggio, poi te lo faccio vedere.
ANNA E allora che bugia ha raccontato?
SOFIA Una strana storia su un cane.
ANNA Un cane?
SOFIA Un cane ferito. Sai se a casa hanno un cane?
ANNA Non mi pare abbiano un cane.
SOFIA No, infatti. Forse ho sbagliato qualcosa io nell’impostazione del laboratorio. Alla fine avevi ragione tu.
ANNA Su che cosa?
SOFIA Il primo giorno abbiamo lavorato sulle capsule del tempo. Che cosa sono, come funzionano. Ho detto che avremmo fatto un breve video a testa e che durante il video potevano raccontare qualsiasi cosa, parlando ai loro stessi del futuro. Lo riguarderemo insieme solo all’ultimo anno.
ANNA All’ultimo anno?
SOFIA Sì, non so se mi rinnovano qui, ma se non ci sarò potresti farlo vedere tu.
ANNA Pensavo che avremmo dato una copia a tutte le famiglie appena era pronto.
SOFIA Il fatto è che i bambini dovrebbero rivedere i video soltanto dopo un certo tempo, per riconoscersi o trovarsi cambiati.
ANNA Non mi ricordavo che il progetto fosse così, il tema è sempre stato questo?
SOFIA L’ho leggermente cambiato in corsa.
ANNA Ok, mi sembrava.
SOFIA Ammetto di aver fatto un po’ di testa mia. Ho pensato di lasciarli liberi. Anche se tu mi avevi consigliato di fare sempre delle domande mirate.
ANNA Lo dicevo solo perché a volte, quando sono troppo liberi, non sanno da dove iniziare.
SOFIA Infatti, credevo che fosse successo questo con Azzurra. Gli altri erano molto a loro agio. Alcuni si sono presentati e hanno parlato delle loro famiglie, alcuni hanno raccontato la trama di un cartone che hanno visto, alcuni hanno raccontato delle barzellette, per vedere se tra qualche anno faranno ancora ridere. Poi è arrivato il turno di Azzurra, e non diceva niente. Ho pensato fosse timidezza.
ANNA A volte ha solo bisogno di un piccolo incoraggiamento.
SOFIA Sì. Per incoraggiarla le ho ricordato che la capsula del tempo deve contenere qualcosa del tempo presente, che non deve per forza essere speciale adesso, ma che ci apparirà speciale un giorno. Le ho detto che poteva parlare di tutto, anche raccontare una domenica qualunque. Allora lei si è rilassata e ha parlato moltissimo.
ANNA Hai visto.
SOFIA Solo che ha raccontato una storia senza senso.
ANNA La storia del cane?
SOFIA Ha detto che la domenica sono stati a fare una passeggiata, con tutta la sua famiglia. La mamma, il papà e il fratello. Una passeggiata molto lunga. A un certo punto però le è venuto freddo. Tremava moltissimo. Allora la mamma le ha dato il permesso di tornare a casa a prendere un maglione, tanto lei conosce benissimo la strada. E man mano che si avvicinava a casa sentiva ululare, sempre più forte, un ululare disperato. Non ha detto proprio disperato, ma il concetto era quello. Una volta arrivata davanti alla casa ha scoperto da dove veniva quel suono. C’era un cane con la testa incastrata nel cancello.
ANNA Incastrata?
SOFIA Sì, ha detto che c’era un cane con la testa incastrata tra le sbarre del cancello. E lei voleva aiutarlo, ma aveva paura che la mordesse. Allora ha corso più veloce che poteva, fino a raggiungere la sua famiglia, per chiedere aiuto. Quando tutti sono tornati, insieme, si sono messi di impegno e sono riusciti a sfilare la testa del cane dal cancello. Solo che il cane era ferito e aveva sporcato tutto il cancello e il pavimento di sangue. E così mentre lei e il papà si occupavano del cane, che aveva bisogno di essere medicato, la mamma e il fratello hanno pulito il sangue con delle secchiate di acqua e detersivo.
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ANNA Sarebbe questa la bugia?
SOFIA Sì.
ANNA E perché pensi che sia una bugia?
SOFIA Non lo so. Mi sembra poco credibile.
ANNA Ma è possibile.
SOFIA Mi era rimasto un dubbio e allora l’altro giorno le ho chiesto come stava il cane e mi ha risposto che non hanno un cane, anche se lei lo vorrebbe tanto.
ANNA Forse lo hanno restituito ai legittimi proprietari, qui randagi non ne ho mai visti.
SOFIA Sì. Solo che sembrava che non sapesse nemmeno di cosa stessi parlando. Penso che fosse una bugia.
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ANNA Non è una bugia, è una storia inventata. Una bugia la si racconta di proposito, con uno scopo. Che ne so. Nascondere una colpa, apparire in un certo modo.
SOFIA Appunto. È questo che non riesco a spiegarmi. Perché mai ha raccontato quella storia, quando poteva parlare di tutto?
ANNA Forse cercava di raccontare qualcosa di interessante e ha un po’ modificato la realtà.
SOFIA Non saprei se questa storia dà una versione migliore della realtà.
ANNA È pur sempre una bambina di otto anni.
SOFIA Ma sei d’accordo che chiaramente quello che ha raccontato non è successo?
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ANNA I laboratori di arte servono appunto per stimolare l’immaginazione.
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SOFIA Hai ragione, non ha senso parlarne così tanto. Non so come mai mi è rimasto in mente, forse è il modo in cui lo ha raccontato.
ANNA Il modo?
SOFIA Vuoi vedere il video?
ANNA Ora non è necessario. Lo vedrò insieme agli altri quando avrai finito di preparare tutto. Probabilmente era sotto pressione.
SOFIA C’era un clima molto rilassato.
ANNA Forse non ha saputo spiegarsi bene.
SOFIA Azzurra si sa spiegare benissimo. Parla correttamente, e scrive quasi senza errori. Ho notato anche che ha molte amiche e amici.
ANNA Sì, ma parlare davanti alla telecamera mentre tutti ti ascoltano è diverso.
SOFIA Questo è vero, hai ragione. Eppure.
ANNA Eppure?
SOFIA È un racconto pieno di dettagli inverosimili. Mi sembra che voglia dire qualcosa, ma non capisco cosa.
/
ANNA Non lo so, secondo me ci stai ricamando sopra. Comunque senti, facciamo una cosa. Non ne parliamo con i genitori di Azzurra.
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SOFIA Forse potremmo accennarlo, solo per capire.
ANNA Capire che cosa?
SOFIA Se quella domenica è successo qualcosa.
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ANNA A cosa pensi?
SOFIA Non saprei.
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ANNA Tu sei nuova e sei abituata a una città grande, con un sacco di gente. Io li conosco tutti qui. In alcuni casi sono già stata la maestra delle loro sorelle e dei loro fratelli. Si assomigliano. I genitori me li sono visti davanti più e più volte e anche quando cambiano è come se fossero sempre gli stessi, vogliono solo che tutto vada bene. Fanno tutti il loro meglio. Se non c’è nulla, non dobbiamo trovare qualcosa a tutti i costi. No?
SOFIA No. Certo.
ANNA I voti di Azzurra vanno benissimo. Va d’accordo con la classe. Non si vede niente di strano. E se qualcosa non andasse, fidati che te ne accorgeresti.
SOFIA Sì? Dici? Forse sì.
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SOFIA A volte ho paura di confondere la figura con lo sfondo.
ANNA In che senso?
SOFIA Crediamo di vederci bene, ma non abbiamo mai davanti una figura ben definita. Davanti a noi c’è un bellissimo paesaggio. E noi vediamo solo quel paesaggio perfetto, ma non le singole figure che lo abitano.
ANNA Sei all’inizio, per questo hai queste paure.
SOFIA Probabilmente.
/
ANNA Bene.
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ANNA Tu riesci a vedere se hanno risposto al nostro messaggio? Il mio non prende.
SOFIA No.
ANNA Non hanno risposto?
SOFIA Nemmeno il mio prende, che strano.
ANNA Basta che cambi il tempo e il segnale va via. Qui non è come da te, siamo dimenticati da tutti. Vado un attimo fuori a vedere se c’è campo. Aspettami.
SOFIA Vuoi che vada io?
ANNA No, no. Arrivo.
Sofia resta sola nella sala insegnanti. Sembra a disagio, come se fosse ospite in quella stanza e non sapesse bene cosa fare, dove e come mettersi. Seduta si sente scomoda. Si alza e passeggia un po’ per la stanza. Non sa dove mettere le mani. Si avvicina alla finestra, nello stesso punto in cui Anna stava mangiando la sua merendina all’inizio. Guarda fuori. Ormai è completamente buio. Si è alzato il vento che scuote i rami del grande abete in giardino. Nella via che costeggia il giardino della scuola non tutti i lampioni sono funzionanti. Dall’altro lato della strada una donna sta portando a passeggio il proprio cane al guinzaglio. Il vento è molto forte, dunque la donna ha alzato il cappuccio del giaccone e la sciarpa sul suo viso, che è quasi interamente nascosto. Il cane al guinzaglio tira con molta decisione, nella direzione contraria a quella del vento, perciò la passeggiata sembra complicata. Sono una coppia un po’ buffa. Il cane e la donna girano l’angolo, e non si vede più nessuno. Oltre al rumore del vento, sembra esserci un assoluto silenzio, non passano macchine, non si sentono rumori nemmeno da dentro la scuola. Ora però si sente uno strano fischio, come se qualcuno soffiasse per imitare il rumore del vento. Sofia picchietta qualche volta con le dita contro il vetro della finestra. Il fischio si interrompe, non accade nulla per qualche istante e poi, all’improvviso, come se tagliasse il buio, un grosso barbagianni, con il suo volto chiarissimo e tondeggiante, come una luna, attraversa il giardino in volo, leggerissimo, e in un attimo si appoggia lì, sul davanzale, dall’altra parte del vetro, esattamente di fronte ad Sofia. La donna e il rapace si guardano negli occhi. Dura un tempo difficile da decifrare. L’occhio del barbagianni è un profondo buco nero, un buio magnetico. Anche l’occhio di Sofia fa lo stesso effetto al barbagianni. Silenzio e basta. Poi la porta della sala insegnanti si apre, Sofia si volta di scatto, è rientrata Anna. Quando Sofia si volta di nuovo verso la finestra, il barbagianni è già volato via.
ANNA Cosa c’è?
/
SOFIA Niente, niente. Allora?
ANNA Non prende. Questo vento avrà fatto danni.
SOFIA Mi sa che non vengono più.
ANNA Ormai è tardi. Direi che possiamo andare. Anche in segreteria non c’è più nessuno.
SOFIA Va bene, niente allora.
ANNA Abbiamo aspettato anche troppo, te l’avevo detto. Sei in macchina?
SOFIA Sì. Vuoi un passaggio?
ANNA No, grazie, sono in macchina anche io.
/
SOFIA A te non è mai capitata una cosa simile?
ANNA Figurati, se fosse la prima volta che manca qualcuno al colloquio dovrebbe uscire il sole adesso.
SOFIA Non parlo di aspettare. Cerco ancora di darmi una spiegazione.
ANNA Stai ancora pensando alla storia di Azzurra? Mi sembrava avessimo risolto.
SOFIA Ma sì. Forse è come hai detto tu.
ANNA Certo.
SOFIA Anzi, se ci ripenso è successo chiaramente quello che hai detto.
ANNA Cioè?
SOFIA Voleva raccontare qualcosa di semplice, che sarebbe semplice per gli altri, ma nel suo caso non lo è. Può capitare a chiunque, anche a me o a te. Magari hai vissuto qualcosa che ti sembra difficile da spiegare. Per qualche motivo ti sei convinta che sia diverso da quello che vivono gli altri. Non sai perché ma sei sicura che è così, che nessuno capirebbe. In verità ti sforzi di trovare le parole per dirlo, ma non sapresti proprio da dove iniziare, perché anche se lo hai vissuto tu in prima persona è troppo complesso da riferire, anzi, già mentre lo vivevi per te non aveva senso. Allora al posto di quello che dovresti raccontare parli di qualcos’altro. Qualunque cosa, la prima che ti viene in mente, credibile o meno, purché poi si possa andare avanti.
//
ANNA Io non ho detto questo.
SOFIA Più o meno.
ANNA Secondo me sarebbe meglio per te se mettessi un po’ di distanza. Cerco solo di proteggerti, sei giovane, hai appena iniziato, è meglio se impari a evitarlo sin da subito.
SOFIA Evitare che cosa?
ANNA Non è che vedi in loro quello che hai vissuto tu?
SOFIA Che cosa avrei vissuto io?
ANNA Non lo so. Se non lo sai tu.
SOFIA Ma avevi in mente qualcosa, quando lo hai detto.
ANNA No. Che cosa dovrei avere in mente secondo te?
SOFIA Pensi che io mi sia immedesimata in Azzurra?
ANNA Penso che vediamo le cose in modo diverso.
SOFIA Forse.
ANNA Certamente.
SOFIA Tu hai sicuramente più esperienza di me.
ANNA Fidati.
SOFIA Sì. Chiudiamola qui.
ANNA C’è qualcos’altro di cui mi vorresti parlare?
SOFIA A proposito della terza D? No, non direi.
ANNA No.
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ANNA A proposito di te.
SOFIA Di me? Ma no, che cosa?
ANNA Sei sicura? Possiamo prenderci ancora due minuti per parlarne.
SOFIA Ma parlare di cosa?
ANNA Di quello che è successo.
SOFIA Non è successo niente.
ANNA No?
SOFIA No.
ANNA Va bene.
/
ANNA Però voglio dirti una cosa. Quando vuoi sai che possiamo parlarne.
SOFIA Grazie, ma non so di cosa.
ANNA Lo sai.
SOFIA Sul serio.
ANNA Siamo colleghe, veniamo qui tutti i giorni. Io ti vedo.
Sofia e Anna si guardano negli occhi, sono una di fronte all’altra. Anna guarda Sofia. Sofia guarda Anna. I loro occhi sembrano quelli scuri di due uccelli notturni. Anna guarda Sofia e la vede piccola, sempre più piccola, come il nocciolo di un frutto, come un semino. Sofia guarda Anna e la vede sfocata, i suoi contorni si confondono con lo sfondo, la luce dei neon dell’aula insegnanti è troppo invadente. Anna guarda Sofia e all’improvviso Sofia si rende conto di quello che sta succedendo, ma non c’è nulla che possa fare per fermarlo. Sotto lo sguardo di Anna la sua pelle brucia, si sta staccando, si ritrae, strato dopo strato tutto il suo volto scompare, fino allo scheletro. Sofia sa che Anna vede tutto, il suo scheletro grigio e i denti bianchi senza più gengive. Soltanto gli occhi restano, con il loro sconcertante terrore. Anna indietreggia verso la porta, raccoglie in fretta la sua giacca e la sua borsa abbandonate su una sedia e scappa. Sofia si avvicina alla finestra. Fuori è completamente buio. È il suo volto quello scarnificato che vede riflesso sul vetro? Dura un tempo difficile da decifrare. Poi la porta della sala insegnanti si apre, Sofia si volta di scatto, è entrata Anna. Quando Sofia si volta di nuovo verso la finestra non c’è più nulla di strano, il suo volto è tornato quello di prima, quello di una giovane donna che non sa bene dove fissare lo sguardo.
ANNA Cosa c’è?
/
SOFIA Niente, niente. Allora?
ANNA Non prende. Questo vento avrà fatto danni.
SOFIA Mi sa che non vengono più.
ANNA Ormai è tardi. Direi che possiamo andare. Anche in segreteria non c’è più nessuno.
SOFIA Va bene, niente allora.
ANNA Abbiamo aspettato anche troppo, te l’avevo detto. Sei in macchina?
SOFIA Sì. Vuoi un passaggio?
ANNA No, grazie, sono in macchina anche io.
/
SOFIA Andiamo via.
ANNA Sì, non è grave, non avevamo nulla di urgente di cui parlare con i genitori di Azzurra.
SOFIA No, infatti.
ANNA Questa è un’ottima terza, una delle migliori che ho avuto.
SOFIA È vero.
ANNA Mi fa piacere che ti trovi bene.
SOFIA Spengo la luce?
ANNA Lascia, stanno arrivando a pulire.
Le maestre escono dalla sala insegnanti. Il vento soffia molto forte. Le luci nell’aula tremano un po’. Fuori dalla scuola le auto delle due maestre lasciano il parcheggio, una lascia passare prima l’altra. Qualcuno spegne le luci in tutta la scuola. La luce dei lampioni per strada va e viene per qualche volta, poi si spengono tutti definitivamente. Sembra ci sia un black-out elettrico nell’intero paese. L’intera valle, il fiume che la attraversa, i monti che la circondano sono immersi nel buio.