Quando ti svegli con un avanzo di mal di testa che ti dura da cinque giorni nonostante le supposte che ormai ti infili a raffica nel culo con una disinvoltura davvero estrema, vuol dire che la giornata inizia male, almeno per te è così. Non devi accompagnare tua figlia a scuola perché tua figlia non c’è. È dal padre, perché tu e il padre vi siete lasciati. Dovresti parlare di questa cosa con la stessa disinvoltura con cui ti infili le supposte nel culo, visto che ormai sono passati più di due anni da quando lui ha detto ciao e poi non è tornato più perché dice che non te lo sei ripreso, invece ancora stai così, che ti viene da piangere quando sbarri gli occhi nel cuore della notte e ti ritrovi da sola nel letto. 

Non devi accompagnare tua figlia a scuola, non solo perché non c’è la figlia, ma anche perché non c’è la scuola. Non c’è neanche il lavoro, che a dire il vero non c’era neanche prima quando c’erano la figlia, il padre e la scuola. Cioè c’è questa cosa che ti mandano delle sceneggiature da leggere e da schedare, uno smart working all’avanguardia se te ne arrivasse un numero cospicuo, ma sicuramente sono più le supposte che ti infili nel culo che le sceneggiature che schedi.

Insomma avresti potuto restartene a letto, alzandoti solo per farti il caffè diciamo ogni due ore, ma oggi è mercoledì e il mercoledì vai dalla psicanalista. Così, da brava, ti sei alzata, lavata, vestita e infilata un bell’Ob super plus, che è per flussi così copiosi che in alcune regioni d’Italia neanche lo vendono perché lì le donne hanno flussi al massimo super, ma per fortuna nel Lazio ci sono i super plus e quando devi andare in Puglia, dove avranno forse fatto delle ricerche di mercato stabilendo che alle donne pugliesi basta il super, ti porti delle grandi scorte laziali. Erano le 10, hai guardato l’ora per calcolare quanta autonomia avresti avuto. Il secondo giorno è il peggiore, lo sappiamo, è inutile che ce lo stiamo qui a dire. Sei uscita e hai fatto un po’ di spesa. Non è che proprio ti servisse qualcosa urgentemente, era una di quelle spese da ripostiglio che consistono nel comprare una cosa che sta per finire ma ancora non è proprio finita e potresti comprarla anche tra una settimana ma invece la compri subito per avere la rincuorante sicurezza che non rimarrai mai senza aceto balsamico perché sai che ce n’è uno tutto nuovo che aspetta solo di essere scartato, uguale a quello precedente, pronto a sostituirlo e a fare il suo dovere fino ad esaurimento, per poi essere rimpiazzato da un suo sosia acquistato nel frattempo, dritto in prima fila nel ripiano dello stanzino in cui in genere riponi i prodotti di riserva. Il tempo trascorso a comprare prodotti di riserva ti è servito per calcolare il tuo livello di autonomia, stabilito in un’ora e quaranta, goccia di sangue più goccia di sangue meno. 

Quindi ti sei cambiata nuovamente subito prima di uscire per la tua tignosa transumanza solitaria verso il quartiere Monti, dove è ubicato lo studio della tua psicanalista, che raggiungi a piedi dal Pigneto, in circa un’ora, col tuo passo spedito. Avevi calcolato che avresti fatto il cambio assorbente nel posto confortevole dove prendi sempre un caffè e ogni tanto mangi un’insalata ma il posto era chiuso, come quasi tutti i posti di Monti. C’era un’atmosfera davvero tetra, quasi nessuno in quei vicoletti in genere sempre popolati di invidiabile allegria, solo tu, un maniaco che ti seguiva e dei tizi mezzi francesi che parlavano dei prezzi troppo alti delle case. Aperti solo dei bar di merda che non ti hanno fatto usare il bagno.

La tua autonomia era agli sgoccioli, mentre al tuo corpo poteva applicarsi bene il senso inverso della locuzione, cioè in poche parole di lì a poco avresti cominciato a gocciolare sangue, così hai deciso di salire dalla psicanalista alle 13 e 25, ovvero tre minuti prima del solito, per discutere con lei della tua problematica tutta al femminile e anche per seminare il maniaco. Hai suonato il campanello, lei ti ha aperto dopo i classici 20 secondi, ti ha detto che eri arrivata troppo presto, ti ha chiesto di aspettare sul pianerottolo e ti ha chiuso la porta in faccia con la stessa disinvoltura con cui ormai tu ti infili le supposte nel culo. Dopo circa due minuti ti ha fatto entrare e hai cominciato a fare le cose che fai ogni settimana quando entri nel suo studio: togli la borsa appendi la borsa, togli la giacca appendi la giacca, togli il cappello appendi il cappello, alle quali si è aggiunta, da un tempo ormai brodoso, l’azione di igienizzarti le mani con quel cazzo di gel che secondo te lei diluisce per risparmiare e allora poi devi usare la salviettina lì accanto per asciugarti ma lei avrà calcolato che comunque le costa meno quel kleenex che lasciare il gel puro. Perché lei calcola tutto, forse aveva anche calcolato che oggi ti saresti incazzata per la prima volta, dopo quasi due anni che vi vedete tutti gli stracazzo di mercoledì dalle 13 e 30 alle 14 e 15. Ci vuole a un certo punto lo scazzo con la psicanalista freudiana, mica possiamo sempre essere educate e signorili noi pazienti in crisi. Insomma a un certo punto, dopo aver appeso il cappello e mentre ti strofinavi le mani come un mansueto soldatino, hai fatto una deviazione da quella routine ormai codificata di gesti silenziosi davanti a lei che ti osserva con lo sbadiglio in canna e le hai detto io oggi avrei proprio bisogno di andare in bagno. Mi dispiace, ma come sa non è possibile. Sì, effettivamente lo so, ma oggi i bar sono quasi tutti chiusi, quello dove vado di solito era chiuso e nei bar aperti non mi hanno fatto usare il bagno. Mi dispiace ma non posso aiutarla, come sa qui non c’è il bagno. Sì, io lo so e infatti per quasi due anni non le ho mai chiesto di poterlo usare, ma oggi è un’emergenza. Ho camminato un’ora per arrivare qui e se non mi cambio l’assorbente, tra poco faccio un lago. Ma non stiamo a parlarne qui, si accomodi. Preferisce che le sporchi di sangue la poltroncina di pelle piuttosto che farmi utilizzare un attimo il bagno? Come lei ben sa, in questo studio non c’è il bagno. Mi scusi, ma lei come fa quando deve fare pipì?  Ci sono cose che io non sono tenuta a spiegarle. Lo sappiamo tutti che questa porta di legno scorrevole non è un trompe l’oeil con una porta dipinta ma è una porta vera oltre la quale c’è una casa e c’è anche un bagno. Io ho dovuto disinfettare tutto prima che lei entrasse, come lei ben sa, in questo momento poi, io non posso proprio esserle d’aiuto. Non usi la pandemia come scusa, lei il bagno non me l’ha fatto usare nemmeno prima del Covid. Io l’ho accettato, ho accettato anche che non mi desse l’acqua per prendere la pasticca per l’insonnia perché nel suo studio non c’è neanche l’acqua, ma oggi è un’emergenza. Lei è arrabbiata, io la capisco. No, lei non mi capisce altrimenti mi farebbe usare un attimo il bagno. Si tratta di umanità. Se io adesso svenissi qui davanti, lei non mi aiuterebbe? Le chiedo solo di andare un attimo al bagno. La cosa non è possibile, quello che possiamo fare è recuperare questa seduta un’altra volta. Ci metto un’ora di cammino quindi l’autonomia per tornare a casa senza espellere l’assorbente interno troppo pieno non ce l’ho. Può prendere un taxi. Guardi, avrei deciso di restare, anche solo per sporcarle la poltroncina. Lei è molto arrabbiata, forse è meglio che vada.

Dovevo solo cambiarmi un attimo l’assorbente, quel giorno non mi scappava neanche la pipì. Non glielo avrei neanche lasciato nel suo cazzo di bagno lindo quello impregnato di sangue e grumi. Lo avrei avvolto in tutti i fazzolettini che mi erano rimasti in tasca, lo avrei messo nella borsa e me lo sarei portato fuori da quel cazzo di studio senza lasciare tracce. Sarei stata attenta a non spargere gocce di sangue sulla tavoletta e sul pavimento, insomma come faccio sempre del resto. E ci avrei messo pochissimo. E non avrei usato gli asciugamani, non avrei aperto l’armadietto dei medicinali in cerca di psicofarmaci, non avrei odorato lo shampoo e il balsamo, né preso nota delle marche dei prodotti cosmetici, non mi sarei data una spruzzatina dietro alle orecchie e sui polsi della sua eau de Freud, non avrei frugato nella cesta dei panni sporchi, non mi sarei soffermata con disgusto sul pelo pubico incastrato nei pressi del buco di scarico del bidet. E non avrei sbirciato i dettagli dell’appartamento, lo stile dell’arredamento, le foto, le cornici delle foto, le cose appese alle pareti, il livello di ordine e pulizia, lo stato dell’intonaco, l’eventuale presenza di crepe e macchie d’umidità sulle pareti, la quantità e le tipologie di soprammobili, le tracce di Freud o di altre presenze umane.

Il ritorno a casa a piedi è stato avvilente ma anche liberatorio e chiarificatore. Lungo il tragitto sentivo il sangue che aveva oltrepassato le mutande e mi gocciolava sulle cosce e immaginavo i pantaloni macchiati ma avevo un cappotto lungo che mi faceva sentire protetta e così dopo vari decenni di ciclo mi sono resa conto per la prima volta che un cappotto può farti sentire protetta più di un assorbente, anche quando sei al secondo giorno e hai un flusso super plus. E poi mi consolava il pensiero che una volta arrivata a casa avrei potuto mettere tutto a lavare nella mia lavatrice, avrei potuto usare il mio bagno e avrei potuto farmi una doccia lavandomi via tutto di dosso, tranne la baldanza per quel barlume di ribellione al protocollo freudiano.