È cominciato allo stesso modo, una notte, sulla schiuma di una giornata del tutto simile alla precedente. Tutto nella stessa maniera. La ragazza era appena rientrata, si era spogliata all’ingresso, lasciando il soprabito sul divano, assieme ad altri vestiti. Ho fame — suggerì a se stessa. Ho molto appetito. E non mi pare di sentire profumo nell’aria. Preparerò qualcosa, nell’attesa. Poi proseguì sulle scale, e pensò: spero ci sia qualcuno ad attendermi. Non sento voci nell’aria. Eppure è strano, fuori è già buio. Accese la luce, e in un attimo fu tutto rischiarato. Ma la luce della sala da pranzo, cui si accedeva direttamente dalle scale, rimase più che fioca. Possibile che sia sola? Dove sono andati? Dovrò provare a cercarli. — pensò. E dall’angolo più remoto della stanza, finalmente
 
MADRE: Sei qui?
LEI: Sì. Sono appena tornata. Non ti ho sentita.
MADRE: Io non ti ho sentita. Sei arrivata ora?
LEI: Sì. Dove sono papà e
MADRE: Devono ancora arrivare, credo.
LEI: Ma fuori è già buio. Arrivano ad ore strane, in questi giorni. Non li vedo mai.
MADRE: Le giornate si stanno accorciando. Ma anche ieri era così. Ne sono sicura.
LEI: Sì.
MADRE: Dove sei stata?
LEI: In biblioteca. Come ogni giorno. Nella sala studi. E tu?
MADRE: Avevo… Un incontro. Un appuntamento.
LEI: Con chi?
MADRE: Con… Lascia perdere. Cosa fai?
LEI: Prendo qualcosa da mangiare. Ho molta fame.
MADRE: Oh… Forse sarebbe meglio aspettarli.
LEI: Sì ma… Non c’è nulla di pronto.
MADRE: No?
LEI: No. Non vedi?
MADRE: Sono rientrata da poco. Pensavo di trovare qualcuno.
LEI: Io torno sempre alla stessa ora. E voi no. Dove è la Signora?
MADRE: Oggi non c’è.
LEI: Come?
MADRE: Ha chiesto una giornata libera. È successo l’altro ieri. Suo figlio si è laureato e questa sera hanno una festa. Te l’avevo detto, no?
LEI: Non lo ricordavo. Non ha cucinato, allora?
MADRE: Nemmeno a pranzo. Io ho mangiato fuori. E così tuo padre e tuo fratello.
LEI: Come me.
MADRE: Sì.
LEI: E questa sera?
MADRE: Questa sera… Non ci avevo pensato, lo sai?
LEI: Come? Io non lo sapevo, altrimenti… Te l’avrei ricordato. Sarei tornata prima, avrei chiuso i libri e sarei tornata.
MADRE: Non ci ho pensato.
LEI: Come possiamo fare… Forse loro porteranno qualcosa. Qualche ristorante sarà aperto, non credi?
MADRE: (tra sé) Io credevo lo sapessi.
LEI: Non ha importanza. Non ha importanza, davvero. Dici che sia meglio telefonare?
MADRE: A chi?
LEI: A loro. Sono insieme, no?
MADRE: Sì. Di solito è così.
LEI: Provo a chiamarli.
 


La ragazza prese il telefono e compose il numero. Non vi fu in lei un solo attimo d’esitazione, nulla che potesse suggerire, nella mente di chi la osservava, che le stesse a cuore altro che non fosse la certezza che il padre e il fratello fossero sulla via di casa. Rimase qualche istante in silenzio, mentre la madre beveva un sorso d’acqua, tirava leggermente la tenda, scrutava fuori, poi
 
LEI: Non risponde.
MADRE: Hai chiamato lo studio?
LEI: Sì. Voglio riprovare.
MADRE: No, non serve. Lascia perdere, sono sicura che saranno qui tra poco.
LEI: Perché non dovrei? Ci metto un attimo. Se stanno andando al ristorante, cosa vorresti tu? Da mangiare.
MADRE: Non… Non lo so. Tu?
LEI: Io vorrei… Forse… Come si chiama quello che piace a te? Quello che hai preso anche l’ultima volta.
MADRE: Ma non l’hai mai preso. Non l’hai neanche mai voluto assaggiare. Di solito prendi
LEI: Sì, ma perché non cambiare? Ogni tanto. Aspetta, squilla.
 
La madre rimase a fissarla, poi lo sguardo le sprofondò sul tavolo. Afferrò il bicchiere e finì di bere l’acqua rimasta. Poi si voltò, scrutò ancora dalla finestra. Allora
 
LEI: Non rispondono.
MADRE: Perché come ti ho detto saranno già usciti. La segretaria finisce di lavorare alle sette e mezza, lo sai. Vedrai che tra poco entreranno.
LEI: Va bene, ma se così fosse… Allora hanno deciso loro cosa si mangia. Oppure non hanno preso nulla.
MADRE: Avranno preso quello che prendono sempre, amore. O la stessa cosa per tutti. Sicuramente.
LEI: E se non avessero pensato a noi? Cosa facciamo? Andiamo fuori a mangiare?
MADRE: E dove?
LEI: Al ristorante.
MADRE: Sì. Potremmo andare fuori.
LEI: Non serve nemmeno cambiarsi. Siamo già vestite. Tutte e due. Stai davvero bene, così, mamma. Non te l’ho mai detto ma sei davvero bella. È un bellissimo vestito, è scuro ma sembra chiaro quando ti muovi. Volevi fare una doccia?
MADRE: No.
LEI: Va bene. Allora ci andrò io. Farò in fretta, finché non saranno qui.
MADRE: No, aspetta. Aspetta.
LEI: Che succede?
MADRE: Devo domandarti una cosa.
LEI: Che cosa?
MADRE: Domenica, quella appena passata. Siamo state fuori assieme, giusto?
LEI: Sì. Perché lo chiedi?
MADRE: Quando siamo state al Grande Magazzino. Dove abbiamo provato i pantaloni, tu hai preso le scarpe, dove io…
LEI: Sì, mamma. È successo tre giorni fa.
MADRE: Sì. Quante volte ci saremo state? Io e te. Perché tuo padre di solito mi accompagnava, ma da soli, io e lui. Tantissime volte, assieme. Quasi tutti i tuoi vestiti li abbiamo comprati là dentro. E il ragazzo che ci lavora, Luis, oggi mi ha salutata e mi ha servita di nuovo.
LEI: Sei tornata là, oggi?
MADRE: Sì. Ho comprato questo abito, quello che vedi. L’ho comprato oggi.
LEI: Ecco perché ti sta così bene.
MADRE: Sì, l’ho preso oggi. Ma sai cosa mi ha detto?
LEI: Chi?
MADRE: Il commesso. Luis, il ragazzo.
LEI: Cosa?
MADRE: Mi ha detto: signora, andavano bene le scarpe? E io gli ho detto: sì, credo di sì. Grazie. E lui allora: a proposito, ma chi era la bella ragazza che è venuta qui con lei?
 
La donna lo fissò, sorpresa. Scosse un filo il capo, verso destra, accennò un sorriso che nascondeva i denti, aprì ancor di più gli occhi, flettendo le sopracciglia, e poi
 
MADRE: Di chi stai parlando?
LUIS: Della ragazza che è venuta qui, domenica. Era con lei, signora. La ragazza che ha comprato le scarpe.
MADRE: Era… Mia figlia, Luis. Ero con mia figlia.
LUIS: La ragazza?
MADRE: Sì, ma la conosci. Forse ti confondi con qualche altra persona…
LUIS: No, signora. La ragazza che era qui con lei non era sua figlia. Io conosco sua figlia. Ma quella ragazza non era sua figlia.
MADRE: Come no? Certo che era lei. Forse è cambiata, ha… Sì, forse ha tagliato un po’ i capelli. Non l’hai riconosciuta?
LUIS: Io no. Ma neanche lei.
MADRE: Neanche lei? Cosa?
LUIS: Quando mi ha salutato, all’ingresso. Mi ha detto: Buongiorno. E poi non mi ha mai chiamato per nome. Non era sua figlia, signora. Ho pensato: sarà un’amica. Era molto diversa da sua figlia.
MADRE: Questo non è possibile, Luis. Io sono venuta qui con mia figlia, domenica. E mia figlia, a casa, ha le sue scarpe.
LUIS: Che strano. Io sono sicuro. Forse ricordo male.
MADRE: Ricordi male, sì. Hai sentito cosa mi ha detto?
 
Disse poi la stessa, chiudendo la porta dello studio del marito. Fece qualche passo in avanti, diede un bacio all’uomo che proprio quella mattina si era rasato del tutto la barba. Lui le diede una carezza, sulla guancia e, senza cambiare espressione, la seguì con lo sguardo mentre si accomodava sulla poltrona.
 
MADRE: Ecco, questo è il vestito che ho preso per stasera. Alla cassa, quando ho pagato, ho fatto presente al titolare che Luis è un po’ strano in questi giorni. Certo, spero non prendano provvedimenti. Però mi ha davvero spaventata. Cosa credi possa essere? Non è il tuo campo, lo so, il cervello… Ma cosa potrebbe essere? Disturbi… Sì…
UOMO: Disturbi… Non so. Sei andata all’appuntamento?
MADRE: No, non ancora. Dovevo prima passare a ritirare questo.
UOMO: Va bene. Sei molto bella.
MADRE: Grazie. Davvero?
UOMO: Sì. Molto.
MADRE: Lui è nell’altra stanza? Ho visto che la porta è chiusa.
UOMO: Sì, sta visitando.
MADRE: Che succede?
UOMO: Cosa?
MADRE: Sembri pensieroso. È successo qualcosa?
UOMO: No… Non a me, almeno.
MADRE: E a chi?
UOMO: Ho appena visto una paziente, una signora che abita qui vicino. È venuta a portarmi gli esami del marito che è fermo, chiuso in casa, a letto. La scorsa settimana il loro ragazzo dev’essere finito nell’auto sbagliata, non si sa bene come sia accaduto. Ma la macchina ha sbandato nella notte, sulle colline qui a nord, là dove la strada statale inizia a curvare, dove c’è quella riserva naturale, con gli animali, dove portavamo i ragazzi. La macchina è finita in un burrone e lui è morto sul colpo. Era l’unico figlio. Hanno celebrato il funerale, questa domenica. Io non potevo andare, lo sai. E pare che il padre, che è un mio paziente, e aveva solo disturbi leggeri, niente di preoccupante… Ma pare che là, in chiesa, durante la cerimonia, per via di troppo dolore… Ha avuto un infarto. L’hanno soccorso in tempo, ma ora è molto fragile, a letto. Poteva morire.
MADRE : Mi dispiace.
UOMO: Anche a me. Ha varcato la soglia della chiesa, e passo dopo passo, guardandosi attorno, asciugandosi il sudore in fronte, qualche lacrima in volto, ha percorso la navata, così come si percorre una vita intera. Lasciandosi alle spalle la luce del giorno… Verso quelle grandi vetrate colorate, che tutto filtrano, come i nostri occhi. Dove non v’è luce, non v’è buio. Dove tutto splende, tutto scompare. E l’ombra non è che la parte più manifesta di tanto eterno bagliore… Non lo sapeva, il figlio qualche giorno prima l’aveva salutato. E si era allontanato, con il suono orrendo di quel motore. I motori… Hanno sempre un orizzonte, oltre il quale scomparire. Ci pensi? Come quando noi due sentiamo l’auto che parte, nella notte. E non dormiamo. Si era allontanato, il suo bambino, il sangue del suo sangue… E poi lui gli è andato incontro, in chiesa, con affanno, e una fitta qui, al centro del petto.  Ha perso i sensi, il cuore gli si è fermato. Così… Passo dopo passo, il padre si è ricongiunto al figlio. Ed è quasi morto.
MADRE: Lo conoscevi bene?
UOMO: E che importanza ha?
MADRE: Sì…
UOMO: Scusami, non farci caso. Ma gli esami che mi ha portato… Non importa. Stasera so che non c’è la Signora, in casa. Nessuno preparerà la cena. Mi fermo a prendere qualcosa?
MADRE: Sì. È una buona idea.
UOMO: Ehi. Guardami. Scusami. Non volevo.
MADRE: Tranquillo, amore. Ora vado però.
UOMO: Certo. Hai visto nostra figlia, per caso?
MADRE: Oggi? No, sono uscita prima di tutti. Lo sai. Perché me lo chiedi?
UOMO: Oh, niente. Fuori di casa, stamattina, ho incontrato la sua amica, la compagna di corso. Si chiama… Aspetta… Quella che la scorsa estate è venuta a
MADRE: E allora?
UOMO: Niente. Mi ha chiesto se si sente bene. È venuta a controllare a casa.
MADRE: A controllare cosa?
UOMO: Se si sente bene. Dice che non l’ha più vista in biblioteca. Sta bene? Non la vedo da giorni, praticamente.
MADRE: Non la vedi da giorni?
UOMO: No, quando torno è sempre in camera sua. E la mattina usciamo ad orari diversi. Perché?
MADRE: Niente. Devo andare.
UOMO: Va bene. A stasera.
MADRE: Sì. Ti amo.
UOMO: Ti amo.

La donna lasciò in fretta lo studio del marito e corse fuori. Lui sprofondò sulla sedia, e prese un profondo respiro. Poi si alzò, si incamminò di fretta verso la porta d’ingresso, la spalancò di colpo e informò la segretaria, rintanata nel tepore del vestibolo, che si sarebbe assentato fino alla fine del turno. Alle visite di controllo avrebbe pensato il figlio, chiuso nell’ambulatorio affianco al suo. Si avvicinò al telefono e compose un numero. Poi
 
UOMO: Sì. Sei tu. Mi senti? Ho bisogno di vederti. Tra poco arriverò. Lo so che avevo promesso che non sarei tornato prima di Domenica. (Con la voce rotta) Ma sta succedendo qualcosa, nella mia vita, che non so spiegare. Ho paura a farlo, perché ho paura di come le altre persone potrebbero rispondere. Se anche loro… Come me… No, non posso pensarci. Solo tu mi puoi capire. E ho bisogno di stare con te, ancora. Non succederà più come l’ultima volta, te lo prometto. (Pausa) Sì. (Pausa più lunga) Va bene, ci penso io. Arrivo subito.
 
Si alzò, prese le sue cose e si allontanò. Uscendo, senza incrociare lo sguardo della segretaria, le ricordò di innaffiare le piante nello studio prima di chiudere tutto. La segretaria lo salutò con un cenno, poi chinò lo sguardo sulla rivista che leggeva svogliatamente, ed un brivido le risalì dai polmoni. Si accarezzò il volto da sola, puntando gli occhi nel vuoto. La targa sul fondo, riflettendo i primi lampioni che l’imbrunire rigettava, con il tramonto, s’incendiava: Studio Cardiologico del dott… E il tempo passava, e non ricordava più cos’avesse letto, nella rivista. Non ricordava dove avesse lasciato l’auto, ed il solo pensiero le bastava: poi cos’altro? I nipoti fuori città, il gatto è anziano, tutto si somiglia, e io sono qui. E fece passare le ore, badando poco a chi le camminava davanti. Serbava in genere, per i pazienti, poche parole. Faticava a congedare, a confortare con un cenno, faticava a parlare almeno tanto quanto loro si tormentavano a trattenere. Sotto la sua testimonianza, tra piante ornamentali e quadretti di repertorio, tanti individui attraversavano l’attesa del proprio dolore, quello più interno, più remoto, più faticoso, quello del cuore. Attendere qui, fino a quando non avrò le forze nemmeno più per questo… All’improvviso, una telefonata. Lei
 
DONNA: Studio del dott… (Pausa) Sì, salve signora. Sì. (Pausa) No, non c’è. È uscito poco fa. Ma c’è suo figlio, se desi… (Pausa). Certo, certo. Resti in linea. (Pausa più lunga, mentre armeggia con il telefono) Dottore? Scusi se la disturbo ma sua madre ha appena telefonato. (Pausa) No, dice che è urgente. (Pausa) No, dottore. Mi creda, scusi se mi permetto ma… Sua madre è molto in allarme, credo sia davvero importante. (Pausa) Certo. Le passo subito la chiamata.
 
Ma non lo fece. O meglio, lo fece solo in parte. Perché pur digitando il tasto che consentiva al figlio, rintanato nello studio, di ricevere la chiamata della madre, non agganciò la propria cornetta. Restò in ascolto, trattenendo il fiato. Si portò una mano alla bocca, per non urlare. Strabuzzò gli occhi che quasi LE ESPLOSERO. Poi riagganciò. Non aspettò che il figlio del dottore uscisse. Si alzò, prese le sue cose e in silenzio abbandonò la sua postazione. Fuori non pioveva, ma lontano un temporale si agitava. Mise la mani nella borsa, cercando le chiavi della macchina, che le caddero a terra. Allora si fermò per raccoglierle. Dove era finita la macchina? Il parcheggio era vuoto. Si voltò, guardò in l’alto. La clinica si stagliava inerme, spigolosa, sul confine della notte, coronata da nubi e qualche lampo minaccioso. La luce di una sola finestra rimaneva accesa, quella dello studio del… Comparve allora alla finestra lui e… Chi era? Aveva un altro aspetto, del tutto. Non era… Magro, piccolo. No, era alto, grosso. E la guardava, immobile. Poi al suo fianco una donna si avvicinò. Come era entrata? I sudori freddi le attraversarono la carne, un brivido le corse lungo la schiena, i sensi quasi l’abbandonarono. Quando alle spalle fu presa da qualcuno che le tappò la bocca, la bendò mentre lei si agitava senza più speranza, e tenendole la gola stretta la scaraventò a terra e poi… Lei perse d e l  t u t t o   i   s  e  n  s  i  .   B   u   i    o    .
 


 
2
 
L    u   c   e   .   L  a   c  a  s a  è diversa. È più luminosa, molto più luminosa. E la ragazza, la giovane, è davvero cambiata. I tratti del suo volto, per quanto simili a prima, non corrispondono più con esattezza e i capelli, di un colore diverso, per quanto non del tutto opposto, sono sciolti e più corti. È molto truccata, più alta, il seno è più voluminoso, le gambe più muscolose, il collo meno segnato, più carnoso, così come le labbra. Indossa scarpe incantevoli. Osserva la donna.
 
LEI: Dev’essersi sbagliato. Guarda. Queste scarpe. Sono quelle che ho comprato là.
MADRE: Sì, sono proprio quelle.
LEI: Prenderò del vino. Vuoi bere qualcosa?
MADRE: No, grazie.
LEI: Sicura? Ti può aiutare, alla fine della giornata.
MADRE: Va bene, solo uno. Grazie.
LEI: Te lo verso, ecco. Ecco, a te.
MADRE: Grazie.
LEI: Quando sono uscita di casa, oggi, è passato un signore qui davanti. Un signore ben vestito. Mi ha detto: questa casa, dentro, ha un grande lampadario? Io gli ho risposto: sì, ce l’ha. E allora lui mi ha detto: ecco, lo sapevo. Questa è la casa dove sono nato io. Sono tutte uguali, qui, le hanno costruite tutte assieme. Ma io la riconosco, la mia, anche se sono passati tanti anni. E poi mi ha salutato. Immagino le abbiano arredate tutte allo stesso modo, quando le hanno tirate su, assieme. I grandi lampadari… Come fosse strano trovarne uno in casa. Chi lo sa perché ricordava proprio quel dettaglio? Ti sta bene, il vestito.
MADRE: Sì?
LEI: Davvero. Hai scelto bene. Piacerà a tutti, vedrai.
MADRE: A chi?
LEI: A tutti. Stai molto bene.
MADRE: Cosa stai guardando?
LEI: Come?
MADRE: Alla finestra. Cosa stai guardando?
LEI: Se arriva, che domande. Dobbiamo andare fuori a cena, lo sai anche tu.
MADRE: Al ristorante?
LEI: Sì. Al ristorante…
MADRE: Cosa succede?
LEI: Come?
MADRE: Hai cambiato espressione. Cosa ti succede?
LEI: Stavo solo pensando.
MADRE: A cosa?
LEI: Niente, cose mie.
MADRE: A cosa pensavi?
LEI: Te l’ho detto.
MADRE: Dimmelo.
 
Silenzio.
 
LEI: Perché mi parli così?
MADRE: Io… Non…
LEI: Ho solo pensato che… Lui è molto diverso, con me, in questo periodo.
MADRE: Diverso? Cosa ha fatto?
 
Silenzio.
 
LEI: Niente. Non fa nulla, è proprio questo il problema.
MADRE: Rispetto a cosa?
LEI: A come mi sento io.
MADRE: Ti domando quello che dici. Continuamente. Come ti senti, allora?
LEI: Te ne ho parlato tante volte. Lo sai…
MADRE: Quando? No, non me ne parli mai.
LEI: Non è vero. Non è vero… Anche… Domenica. Ne abbiamo parlato, in macchina, andando al negozio di vestiti.
MADRE: Non ricordo cosa ci siamo dette domenica.
LEI: No?
MADRE: No, lo giuro. Parlamene ora. Ti prego.
LEI: Ti avevo detto, domenica, che stavo aspettando gli esami.
MADRE: Dio mio, io non lo ricordo proprio…
LEI: Il giorno dopo li ho ricevuti.
MADRE: Quali esami?
LEI: Non è possibile.
MADRE: Non ricordo nulla, non so cosa mi stia succedendo. Non ricordo, devi perdonarmi. Amore…
 
Silenzio. Lei la guarda.
 
LEI: Cosa ti sta succedendo?
MADRE: Scusa. Non lo so.
LEI: Vuoi dell’altro vino?
MADRE: No. Bevilo tu.
LEI: Va bene. (Pausa) Non posso diventare madre. Non io, almeno. Non da sola.
 
Silenzio.
 
LEI: Era da un po’ di tempo che lo sospettavo. (Pausa) Ma non ne ho mai avuto la certezza. Solo ora. Quel suo collega, quello che mi ha fatto gli esami, mi ha detto che si tratta di una condizione naturale. Che probabilmente non è mai stato possibile, e ogni altra fantasia poco basterebbe a… Rievocare tutti i momenti in cui mi è capitato di pensare… A come possa essere. Dare la vita a qualcuno. (Pausa) Guarda come è buio fuori, più buio del solito. E sta piovendo… Lo sapevo.
MADRE: Perché hai fatto quegli esami?

Pausa.
 
LEI: Te l’ho detto. Perché l’ho capito. Qui dentro… Sentivo come una stretta, forte. Quando succedeva… Mi dimenticavo di respirare. Così forte… E niente.
MADRE: Potevi parlarne con me.
LEI: Ma l’ho fatto! Forse non mi hai ascoltata con attenzione. Anche tu.
MADRE: Io non…
LEI: Come lui. Lui non ha ascoltato affatto. Anzi. Anzi… Forse ha sentito fin troppo. Finge di non vedermi, mi evita, per le scale, la mattina, presto… Io lo capisco. Quando fino in fondo una persona… Non è in grado di accettare la… Natura delle cose. Io sono fatta così. Tra simili, ci riconosciamo.
MADRE: Non dire così.
 
Un tuono.
 
LEI: E cosa dovrei dire? Da quando lo sa… Non mi sento più guardata. Non più, ormai.
MADRE: Guardata?
LEI: Sì. Non mi guarda più. I suoi occhi… Sono spenti.
MADRE: Quando mai ti ha guardata? Cosa stai dicendo?
LEI: Non capisco quello che dici, questa sera… Non lo capisco proprio.
MADRE: Tu non capisci?
LEI: No, non capisco.
MADRE: Io non capisco! Io non capisco! Cosa stai dicendo? Quando mai ti ha guardata?
LEI: Perché ti arrabbi? Sei impazzita?
MADRE: Mi arrabbio perché voglio sapere se ti ha mai messo le mani addosso. Voglio sapere di cosa stai parlando. Perché non me l’hai detto prima?
LEI: Tu… Come ti permetti. Perché parli così di lui? Cosa c’è tra di voi? Eh? Vi siete messi d’accordo?
MADRE: Messi d’accordo? Per fare cosa?
LEI: Volete farmi sentire uno schifo, non è vero? L’ha detto anche a te? Trattala come uno straccio, lasciala… Lasciala… Oh, maledetto… Non ascoltarla, non guardarla… Se ti parla dei suoi problemi, fottitene… Tu hai già partorito, cosa ti importa? Sai già cosa si prova, non è vero?
MADRE: Non mi sembri più in te.
LEI: No. Sei tu che non mi sembri più quella che credevo.
 
Una porta si chiude.
 
LEI: È lui?
MADRE: Non lo so. Non ti avevano risposto, vero?
LEI: Quando è arrivato? Non ho sentito la macchina. Dev’essere questa pioggia. Il vento…
MADRE: Non possiamo uscire, ora. Dobbiamo rimanere qui. E parlare.
LEI: Cosa?
MADRE: Ho detto che non possiamo uscire.
LEI: Non sta piovendo così tanto. No…
MADRE: Come è potuto accadere tutto questo.
UOMO: Eccomi. Scusate, ho fatto tardi.
LEI: os’hai in mano? Di chi è quel soprabito?
UOMO: Oh sì. Dev’essere tuo. L’ho trovato sul divano.
MADRE: Questo? / Non è mio.
UOMO: Sono tutto bagnato. Dovrò fare una doccia.
LEI: Ma non usciamo a mangiare?
MADRE: Dove l’hai lasciato?
 
Silenzio.
 
UOMO: Cosa?
MADRE: Non siete tornati assieme?
Gli altri si guardano.
UOMO: Con chi dovrei essere tornato?
LEI: Sei sicura di stare bene?
MADRE: Con…
LEI: Ti gira la testa?
UOMO: Avete bevuto?
LEI: No. Qualche bicchiere. Perché mi parli così?
UOMO: Sembra ubriaca. Ti senti bene?
MADRE: Perché mi parlate così? Dio mio… Mi sento male… Ditemi che è uno scherzo, vi prego.
UOMO: Che le succede? Non può uscire in queste condizioni.
MADRE: Non voglio uscire! Voglio stare qui.
UOMO: Visto?
LEI: Ma tu devi uscire. Devi andare alla festa.
MADRE: Festa? Quale festa?
UOMO: Ti sei presa un giorno libero. Ricordi? Per la festa di tuo figlio. Si è laureato.
MADRE: No… No… Io…
LEI: Stai tranquilla. Fai dei respiri profondi. Non ti agitare.
MADRE: Lasciatemi, che cosa dite… Lasciatemi, vi prego…
UOMO: Resta seduta, aspetta… Vuoi dell’acqua?
MADRE: Io… (Si libera) Non voglio… Non voglio niente! Lasciatemi in pace.
LEI: Sei impazzita?
MADRE: Perché fate così? Perché mi trattate così? E dove è mio figlio? Se questo è uno scherzo… Io vi giuro…
UOMO: Calmati. Dobbiamo portarla in ospedale. Ha una crisi, è chiaro.
MADRE : Dove è mio figlio?
LEI: È alla festa. Con i vostri parenti. E tu dovresti essere là, con loro.
MADRE: Questa è casa mia! Tu sei mia figlia, lui è mio marito! Ci siamo visti oggi, nel tuo studio! Perché mi prendete in giro così? Smettetela…
LEI: Inizia a spaventarmi. Cosa facciamo?
UOMO: Non lo so. Chiama la polizia.
MADRE: No! Non chiamate nessuno.
UOMO: Cosa fai? Lascia il telefono.
LEI: Lo rompi così! Fermati!
MADRE: Smettetela o giuro… Smettetela. O giuro che… Prendo… Zitti.
LEI: Aaaah!
UOMO: Ferma, ferma, ferma… Un attimo, ferma… Calma… Metti giù quella cosa. Non ti vogliamo fare male. Lo giuro.
 
Silenzio.
 
UOMO: Mi hai sentito? Mettilo giù.
LEI: Non lo farà.
MADRE: Ditemi… Cosa… Sta… Succedendo…
 
Un gatto entra. Passeggia, calmo, fino alle gambe di Lei. Lei lo prende in braccio.
 
MADRE: E quello? Di chi é?
LEI: È il nostro gatto. Gli hai sempre dato da mangiare, in tutti questi anni.
 
Fu quello il momento in cui la donna si lanciò verso la ragazza. Tentò di colpirla con un cavallo di bronzo, una scultura che aveva raccolto dalla credenza adiacente. L’uomo si lanciò tra loro, il gatto saltò via, con un balzo, e solo allora lui riuscì a fermarla, con una spinta, strappandole l’oggetto dalle mani. Lei cadde all’indietro e precipitò con il capo contro l’angolo della tavola. Crollò a terra e si irrigidì di colpo. Poi ebbe qualche spasmo, mentre una pozza di sangue investiva il pavimento. Le braccia, così come le gambe, si muovevano a scatti. Le pupille cominciarono ad agitarsi, rimbalzando da un lato all’altro. Una copiosa bava le usciva dalla bocca. I due la guardarono, atterriti. Non c’era più nulla da fare. Morì dopo una breve agonia. L’uomo allora strinse la ragazza, che piangeva. Ma un rumore poi attirò la sua attenzione. Veniva da fuori. Un rumore metallico, pungente, vicino. Come di un mazzo di chiavi caduto a terra. L’uomo tirò la tenda, si affacciò. Aveva smesso di piovere, improvvisamente. E vide una donna, in piedi, là fuori, che li osservava, sola, in mezzo alla strada.
 
UOMO: E lei chi é?
LEI: Chi?
UOMO: Vieni. Ci sta guardando.
LEI: Cosa vuole? Chi è?
 
Una donna era là, in piedi. Li osservava, immobile, sola. Si spaventarono e tirarono la tenda. Quando si voltarono, la sala era in ordine, come prima. Niente era fuori posto. Il cavallo di bronzo, sopra la credenza, puntava le zampe verso l’alto. La luce era di nuovo bassa, molto bassa. A terra niente di insolito. A tavola un solo bicchiere di vino. E una bottiglia. Il telefono solo allora squillò. Un paio di volte, prima che l’uomo rispondesse. Dottore?
 
UOMO: Sì?
DONNA: Dottore? Scusi se la disturbo a queste ore ma sua moglie ha appena telefonato.
UOMO: Mia moglie?
DONNA: Sì, dottore. Dice che è urgente. È molto in allarme, credo sia davvero importante. Posso passarle la telefonata?
UOMO: Sì… Me la passi…
DONNA: Resti in linea.
 
Silenzio.
 
VOCE: Pronto? Sei tu? Mi senti? È morta. Devi venire in ospedale, subito. È morta.
 
Quando si voltò, terminata la telefonata, la stanza era vuota. Niente sul tavolo. Nessuno fuori, dentro. Nessuno da nessuna parte. Oltre la casa, vuoto ancora, come fosse l’ultima persona rimasta. Allontanandosi, con lo sguardo, un praticello si allunga indisturbato. Terriccio ai margini, come prima di un bosco, e qualche albero che annega nel buio, oltre la staccionata. Al di là di quella, tutto sta alla fantasia di chi osserva. Chi osserva avrà conosciuto posti simili a quello. E noi, da fuori, vediamo la stessa finestra. Ma a quanti posti appartiene? Quante volte s’è riprodotta, la stessa scena, ovunque, senza sosta? Qualcuno è comparso, là dietro, come fosse uno schermo, dietro i vetri. E qualcuno è scomparso. Sta tutto nei limiti di ciò che si guarda, il resto ha poca importanza. Come le persone!