«Non ricordo un solo periodo della mia vita in cui non sognassi di essere ricchione»: così pensa Andrea dopo l’ennesima pugnetta elargita a uno sconosciuto in un cruising bar. A tre anni giocava con le bambole, a sei voleva diventare una ballerina, a dieci toccava goliardicamente i cazzi dei suoi amici con la speranza che prima o poi quel pezzo di carne potesse piacergli veramente. Verso i dodici anni, per Andrea la domanda si fece insistente: arriva o non arriva questa voglia? Nonostante fosse un bambino prodigio, ragionava come un qualsiasi grigio politico democristiano: se da piccolo fai le cose da donna, prima o poi inizierà a piacerti il cazzo. Ma mentre Andrea nutriva la sua speranza, quel genere di politico nutre solo la sua minchioneria.
La prima pugnetta fatta a un altro ragazzo arriva quando Andrea ha compiuto tredici anni. Movimento di mano meccanico e ripetitivo, sguardo assente ma dritto negli occhi dell’altro. Ricorda che dopo cinque minuti di pugnetta statica, quasi come in un film porno dell’est, l’amichetto gli chiese: “Andrea, ma ti piace?”. Nessuna risposta. Solo, il su e giù passò da statico a vorace, fino a far sborrare l’amichetto in breve tempo. Nessun uomo pone alcuna domanda durante il periodo refrattario – questa è una regola universale.
Tredici, poi quattordici, poi quindici anni: storie di pugnette elargite più o meno a chiunque. Qualche rarissima volta lo smanettamento reciproco; più spesso la prassi consiste per nel segare l’altro, nell’attesa che qualcosa cambi dentro di lui. Fu al cinema che la fisiognomica sessuale di Andrea trovò un giorno una casa nello sguardo assente di Erika, il personaggio interpretato da Isabelle Huppert in La Pianista. Dirigeva Michael Haneke. Gli occhi di Andrea e Erika chiedevano disperatamente di poter riuscire a provare qualcosa.
A quindici anni Andrea lo prese per la prima volta nel culo. In vacanza a Rimini, per una serie di coincidenze si ritrova in camera da letto con una ragazzina. Gli sorge il dubbio: “Vuoi vedere che questa vuole provarci con me?”. E quella veramente ci prova. Lo sguardo di Andrea è quello di sempre, quello acquisito durante le pugnette a uomini, ma stavolta è fisso per un altro motivo: la scopata gli sta piacendo. Ciò significa che il suo sogno di essere ricchione sta svanendo? Essere bisessuale non gli sarebbe bastato. Tette, culo e fessa entrano prepotentemente nella sua mente, l’eroina per Mark Renton in Trainspotting. Questa volta è lui a sborrare velocemente; la ragazzina se ne va soddisfatta.
Col tempo l’intuizione di quell’Andrea ormai adolescente trova sempre più conferme. La realtà, il cinema, i romanzi gli dicono tutti la stessa cosa: l’unica sessualità che vale la pena di vivere in questo mondo è quella dei ricchioni (o al massimo dei froci). Sia chiaro: niente gay, omosessuali e borghesucci vari. Andrea intende diventare un ricchione assetato di cazzo, una iena pronta a leccare la sborra sulle pareti delle dark room.
Se qualcuno di voi a questo punto si sta domandando «come si fa a andare d’accordo con il proprio cazzo?», sappiate che Andrea è l’ultimo che riuscirebbe a rispondervi. Lui che sogna di poter succhiare cazzi tutto il giorno, mentre il suo, di cazzo, corre dietro a qualsiasi bel culo di donna. E il meccanismo ancora più malsano è che le donne fiutano questo suo desiderio represso: più lui si adopera per non realizzarlo, più loro lo cercano; più lui si ripromette di non concedersi, più il suo cazzo viene richiesto.
Andrea frequenta anche le dark room, per un paio di anni: dai diciannove ai ventuno. Lo fa grazie al ricordo di Rebecca, Patrizia, Sonia, Morena, Sabrina e almeno altre venti ragazze con cui ha scopato dopo quella maledetta serata riminese. Al buio infila il cazzo nelle anonime bocche di Roberto o Mirko (nomi a caso, perché per fortuna in quei posti non esiste identità), ma per continuare a tenerlo duro scorrono nella mente tutte le immagini di leccate di fessa degli ultimi mesi. Le dark room sono un luogo sicuro, proprio perché sono dark: al buio nessuno può accorgersi del suo sguardo assente, nessuno può chiedere: “Andrea, ti sta piacendo?”.
Intere notti trascorse a piangere con gli album di Lana Del Rey in sottofondo non cambiano le cose: Andrea continua a non riuscire a farsi piacere il cazzo. E come uno psicanalista cresciuto a pane e banalità cerca disperatamente di capire da dove proviene questo sogno irrealizzato di ricchionamma. Un po’ era innato, forse; un po’ era dovuto al suo disprezzo dell’eterosessualità. Andrea l’aveva sempre osservata come fosse una fogna straripante di possessività, controllo, violenza, gelosia; seduzione e monogamia; ogni male presente sulla faccia di questa miserabile terra. Prima era venuto il disprezzo per i maschi etero, a fare di Andrea un convinto misandrico. Ma presto una seconda illuminazione: le donne non sono che il perfetto incastro per quei luridi esseri. Da un lato dei bugiardi, meschini e ridicoli detentori di cazzo, dall’altro delle insignificanti credulone disposte a qualsiasi cosa pur di accaparrarsi un briciolo di “amore”. Alla misandria Andrea aggiunge la la misoginia, e quindi la perfezione della misantropia.
A vent’anni sesso e disprezzo per Andrea sono la stessa cosa. Scopa solo con donne impegnate, e per il semplice gusto di veder crollare tutte le loro fumose convinzioni relazionali. Simmetricamente, inizia a cercare compulsivamente uomini impelagati in matrimoni di copertura; nella biografia di ogni sito di incontri specifica “Cerco uomini sposati e passivi”. Per Andrea diventa uno spasso inculare quelli che chiamava “luridi coglioni”. Lo chiede mentre glielo metteva in bocca; “Sei un lurido coglione?”. E quelli, pensando si trattasse di dirty talking, rispondono concilianti: “Sì, certo!”. Al che, come fosse un rituale, Andrea accarezza loro la fronte esclamando “Bravo!”. Dai coglioni ama farsi raccontare la vita: quante volte al mese scopavano con la moglie di copertura, perché si trovavano in quella condizione, che sofferenze avevano attraversato e tutto il resto. Non che gli interessi qualcosa del prossimo: ma gli preme comprendere quanta corrispondenza ci fosse tra le vite degli altri e la sua. Andrea usa tantissimo viagra, cialis, levitra o spedra, come i suoi partner: ma lui asssume quei farmaci per scopare con gli uomini, mentre loro li assumono per scopare con le proprie mogli. Mentre incula quesi tizi, Andrea deve immaginare culi fenmminili; mentre inculano le loro mogli, quei tizi sognano di essere inculati da altri maschi.
Tempo cinque anni e la spirale del disprezzo si trasforma in una voragine dell’odio. Agli occhi di Andrea venticinquenne le donne diventano così insopportabili che non vuole averci più nulla a che fare. Basta mezzo raccontino su un loro ex, o un qualsiasi riferimento alla loro concezione del sesso o ancor peggio dell’amore, e qualsiasi forma di attrazione sessuale per loro scompare. C’è una sola soluzione per continuare a scopare con le donne, pagarle, soprattutto pagare il loro silenzio. Andare a puttane risulta però più costoso del previsto: in un mese Andrea spende anche mille euro in prostitute. Il sesso è un mercato scellerato come qualsiasi altro, ma la soluzione stessa può venire dal mercato, se si è disposti a farsi pagare a sua volta dai maschi. Gli uomini pagano più del previsto, in primo luogo quelli sposati. Dopo qualche calcolo Andrea capisce che una scopata con un uomo riesce a coprire il costo di due scopate con donne. Così Andrea diventa – è il caso di dirlo – un perfetto imprenditore di se stesso.
A trent’anni Andrea è una farmacia ambulante. Prende tutti i giorni PrEP e cialis, che preferiva ad altri farmaci analoghi per la sua lunga emivita. Sporadicamente, solo quando gli incontri promiscui si intensificavano, assume la DoxyPEP. Nel tempo si aggiungono altri problemi, di cuore e di depressione, che gli regalarono altre quattro pillole al dì. Il tasso di disprezzo nei confronti del prossimo aumenta in modo direttamente proporzionale al numero delle pillole da prendere al mattino.
Finché, nell’estate dei suoi trentadue anni, arriva a casa di Andrea questo cliente di una timidezza disarmante: giovane, sposato da poco, un posillipino gay già nel grembo materno, con tanto di camicia di lino e mocassini. Un bocconcino così squallido che Andrea non vede l’ora di inculare nel peggiore dei modi. Ma il guaio di questi coglioni è che la timidezza gli fa stringere il buco del culo: mentre il disprezzo di Andrea non vedeva l’ora di entrare in quel buco depilato alla perfezione, il posillipino aveva il culo serrato come un carcere. Il cazzo di Andrea entra solo a metà ed ecco che si sente un rumore sordo, come un elastico che si spezza: Andrea lo tira fuori immediatamente e si accorge che il suo cazzo è storto. In pochi minuti diventa viola, pende del tutto a destra, si gonfia e gli fa un male cane. Di gran carriera il cliente lo accompagna con la sua auto al pronto soccorso, poi scappa. La diagnosi degli urologi è implacabile: rottura del pene. Lo operano d’urgenza. Cazzo inagibile per sei mesi, e poi complicazioni, infezioni, dolori e terapie infruttuose, fino alla notizia che il suo cazzo non tornerà mai a funzionare in modo naturale. I medici suggeriscono una protesi peniena tricomponente.
Andrea compie trentatré anni quando nella clinica che ha scelto per l’operazione gli viene installato questo dispositivo che tutto sommato gli sembra una meraviglia. All’età di Cristo in un certo senso anche Andrea risuscita: può disporre delle proprie erezioni come e con chi più desidera, azionando un pulsante nascosto tra i testicoli. L’operazione va benissimo: grazie al nuovo ordigno Andrea può mollare per sempre non solo il il cialis, ma anche le donne, i culi femminili, i coglioni sotto copertura e tutta quella munnezza che è l’eterosessualità. Può dedicarsi totalmente ai ricchioni, perché ormai il suo corpo – ovvero la fisiologia dell’erezione – deve rispondere esclusivamente ai suoi sogni, e non più ai suoi meschini desideri. Andrea non è più un ricchione intrappolato nel corpo di un insulso eterosessuale. La pompetta l’ha finalmente reso libero. Un pulsantino gli ha cambiato la vita. Il merito, racconta Andrea durante una chiamata telefonica alla sua unica amica, è tutto di quel posillipino dal culo liscio. Decide di fargli recapitare una cravatta marca Marinella, con tanto di dedica affettuosa: “Grazie, mio caro coglione”.