Il museo a cielo aperto, d’accordo. La nuova meta alternativa, dice, del turismo abruzzese. Sarà. Ma sono le sei del pomeriggio e trovare qualcosa da mangiare è praticamente impossibile. È il 6 gennaio, in giro ci sono almeno un paio di comitive di visitatori, e però i due signori cui chiediamo informazioni – due pensionati in tenuta e posa da locals, che sbocconcellano discorsi appoggiati al parapetto del curvone – allargano le braccia quasi a volersi giustificare: «Qua noi ci dobbiamo ancora abituare, non siamo tanto attrezzati». Si potrebbe scendere giù, verso la stazione: ma ci sono da fare almeno quattro chilometri, «e poi comunque» ci dicono le nostre due guide «non è detto che a quest’ora da Lillino vi fanno sedere». Arrendersi, dunque? «Ma forse mo’ apre Graziano» ci urla una voce dalla piazza, a indicarci la salvezza. In effetti, davanti al food truck parcheggiato a pochi passi dal parapetto del curvone presidiato dai due locals, proprio sotto il portone cinquecentesco che immette nel borgo, con vista sulla bella parete rossa e blu col murale dedicato ai cardi («simbolo di fertilità e» ti pareva? «di resilienza»), c’è ora un certo movimento. E si capisce subito, a dispetto dell’apparente squallore, che Graziano ci sa fare: la fonduta di gorgonzola sull’hamburger, le opzioni senza glutine accuratamente trattate, i movimenti tutti esatti. «Be’, so’ pur sempre un insegnante del Gambero Rosso» dice lui, con quella celia tutta romanesca che induce a diffidare. E invece è vero: il camioncino parcheggiato si chiama Taverna Portuense perché questo era il nome del ristorante che Graziano, nativo del Trullo, gestiva dalle parti di Casetta Mattei. Poi la chiusura forzata col Covid e quell’idea nata un po’ così: «Andiamo ad Aielli». Graziano c’era stato in vacanza anni prima, aveva mantenuto qualche contatto: «Dopo sei mesi di prova, co’ mi’ moglie se semo detti: “restamo”». E certo c’è forse una convenienza pratica: «Niente affitti, niente istituto d’igiene». Ma la scelta è maturata anche, dice lui, su altre basi: «Qua ce sta un senso de comunità che, come ve devo di’, te senti veramente una parte di un qualcosa». 

Qua è, per l’esattezza, a mille metri d’altezza nel mezzo della Marsica, in provincia dell’Aquila, su un cucuzzolo brullo stretto tra i monti del Sirente e la piana del Fucino, con millequattrocento persone divise in due frazioni tra loro in dissidio quasi permanente (a proposito di senso di comunità). Qua, ad Aielli, nel 2021 si sono registrati centodiecimila arrivi di turisti: e forse se Graziano ha deciso di traslocare con la sua Taverna Portuense, e anzi sta cercando un locale dove aprire un ristorante come si deve in tanta malora, è per questo: perché da quattro anni qui ad Aielli c’è uno dei festival di street art più importanti d’Italia, almeno per quella setta di appassionati che ha eletto questo borgo diroccato a luogo di culto del murale.

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