È una giornata luminosa, luminosissima e Roberto, come ogni mattina, si sta avviando a prendere il tram giallo che attraversa Milano. Tutte le cose sembrano sospese, o forse è soltanto lui a essere sempre più stanco, sempre più distante, disattento e sospeso. Ma si sente felice: è un uomo realizzato, a capo di un grande gruppo editoriale. Di tutti i libri che ha pubblicato ne ricorda solo alcuni, quello che gli resta è un odore di carta, carta appena stampata, carta umida, carta piena di polvere. La carta e la polvere, sono queste le vere compagne della sua vita. Certo di compagne ne ha avute molte, ma nessuna gli è entrata nelle ossa come quell’odore.
Questa mattina si è vestito bene, con cura. Un completo blu, autunnale, delle scarpe di pelle Tagliatore. Si è pettinato e profumato. Ha indossato una camicia bianca appena stirata. Ci tiene molto, è una giornata importante. Percorre viale Tunisia, passa davanti alla piscina Cozzi, dove va sempre a nuotare Maurizio Cattelan. Quando era più giovane, e non ancora così conosciuto, si era trovato nella stessa corsia di nuoto di Cattelan. Emozionato, al termine di una vasca, quando si erano trovati entrambi appoggiati ai bordi della piscina per riprendere fiato, si era fatto coraggio e gli aveva chiesto: «Mi scusi, lei è Maurizio Cattelan?», e l’altro senza scomporsi gli aveva risposto: «Sì, e sto nuotando». Il suo sogno di una possibile amicizia si era miseramente infranto e quando, anni dopo, Cattelan aveva deciso di scrivere un memoir autobiografico, Il nuoto, la mia grande passione, non aveva cercato in alcun modo di accaparrarselo, lasciandolo al grande gruppo editoriale concorrente. E poi ogni settimana aveva goduto a vederlo via via scomparire dalle classifiche: sono questi i piccoli mezzi che ha un editore per vendicarsi. Ed era facile far finta di non vedere che al di là del libro, mentre il suo stipendio da anni restava più o meno lo stesso, con aumenti minimi percentuali, le quotazioni di Cattelan volavano, anno dopo anno, alle stelle fino all’iperuranio.
All’incrocio con via Lazzaretto sale sull’uno, il vecchio tram giallo resistito alle epoche. Ogni volta che attende alla fermata ha il terrore di incontrare Mariachiara, che abita in via Lazzaretto, una ragazza sveglia, che a volte perpetua uno stato di totale cattivo umore e a volte parla moltissimo, come presa da un eccesso fastidioso di ottimismo, e da tre anni ormai cerca di convincerlo a pubblicare un suo primo romanzo, ambientato nel IV secolo avanti Cristo, scritto in prosa e in versi. Idea improponibile per un’epoca come quella contemporanea. Tutta amori e lustrini. Tutta social e volti conosciuti. Mariachiara, a cui lui in fondo vuole molto bene, è una persona molto confusa. Castana, occhi verdi, una passione smodata per le feste e la mondanità, sta muovendo i primi passi nel mondo dell’editoria. Da una persona così non ci si aspetta un libro complesso su non so quale popolo vissuto nella Grecia antica. Lui, la prima volta, ha provato a chiederle cosa c’entrasse lei con questa storia che aveva raccontato, ma lei si è infuriata, facendogli notare che la domanda giusta non era quanto c’entrasse lei con la Grecia antica, bensì quanto c’entrasse lei con il mondo contemporaneo: e la risposta era niente! Assolutamente niente!
Questo è un aspetto invidiabile della giovinezza, pensava l’editore: avere la tracotanza di sentirsi incompresi. Anche lui si sentiva incompreso, era entrato nel mondo quasi per sbaglio, per caso era entrato nell’editoria e sempre per caso era stato trascinato dai fatti fino alla vetta. Pensava che ci sarebbe stato un panorama incredibile, ma poi quel panorama si era scordato sempre più spesso di guardarlo.
Quel giorno era elegante perché per lui sarebbe stata una giornata speciale. Tutto era iniziato dieci anni prima, in un bar di Madrid, con uno degli autori spagnoli più venduti al mondo. Era andato lui stesso in Spagna per cercare di strapparlo alla concorrenza, e, ovviamente, c’era riuscito. Difficilissimo a essere persuaso, era noto nel mondo editoriale per la sua incredibile capacità di persuadere gli altri. Era questo il segreto della sua carriera. Sembrava che non gli importasse mai niente di niente, e questo ha sempre attratto moltissimo gli esseri umani, più delle passioni smodate, che in genere sembrano finte o fanno paura. A quell’incontro lui e il noto autore avevano parlato di tutto tranne che di contratti o anticipi. L’editore, invogliato dal vino e dall’arietta che s’intrufolava nelle vie del quartiere Lavapiés, aveva iniziato a raccontare la sua vita allo scrittore: aveva fatto tutte le scelte sbagliate e le aveva fatte in modo consapevole. Ad esempio: sapeva benissimo che non voleva lavorare nell’editoria. Ci aveva lavorato per un anno quando aveva ventiquattro anni e aveva deciso di licenziarsi sebbene fosse stato assunto, e venisse trattato come un enfant prodige. Ma lui non voleva lavorare tutta la vita ai libri degli altri: lui, lo sapeva benissimo, voleva occuparsi di storia dell’arte. Andare in giro a studiare i frontoni delle chiese, nei borghi più sperduti della penisola italiana. E soprattutto aveva un grande sogno: dedicare un’opera omnia alla Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti. Voleva fare un dottorato su quell’opera che da bambino gli aveva fatto comprendere come l’arte potesse essere moltissime cose, anche infinitamente diverse da quelle che lui già conosceva. Quella composizione verticale, tesa verso un unico punto, somigliava più a un’ascesa che a un abbraccio: c’era qualcosa di trascendente.
Aveva resistito un po’ ma poi l’inquietudine della disoccupazione lo aveva vinto. Così quel sogno di dedicarsi all’arte era rimasto sempre e solo un sogno. Più s’intraprende una strada più risulta difficile ripercorrerla in senso inverso: questo avrebbero dovuto insegnare ai neodiplomati.
Stava dicendo tutto ciò l’editore al grande scrittore che lo ascoltava attento e divertito. Quando smise di parlare, con lo sguardo perso probabilmente sulle forme imperfette della Pietà Rondanini, il noto scrittore con aria ridente gli aveva detto: “È una cosa tipica di voi italiani. Vi sentite sempre o troppo vecchi o troppo giovani. Siete fissati con il definito e l’indefinito. E avete un’idea tutta vostra del tempo, come se il tempo esistesse realmente. Io credo di aver capito ormai che il tempo non esiste, è una nostra illusione. Anzi, non un’illusione, ma piuttosto uno strumento. E deve rimanere solo uno strumento per orientarsi tra i tanti fatti della vita. Voi italiani pensate di non essere mai in tempo. Invece siete in tempo! Sei in tempo! Vuoi sapere quando ho scritto il primo libro io? Ah, ma già lo sai. Avevo quarant’anni! E l’anno scorso mi sono comprato un terreno in Andalusia perché ho deciso che voglio iniziare a produrre l’olio. Il mio sogno è sempre stato avere un’azienda agricola, e tutti i soldi guadagnati con i libri, ora lo capisco, sono solo serviti per realizzarlo. Anche tu, perché ti abbatti? Rifletti! A ventiquattro anni nessuno avrebbe pubblicato un tuo saggio sulla Pietà Rondanini! Ma ora? Ora puoi pubblicarlo con chi vuoi tu, devi solo metterti a scriverlo”.
E così aveva fatto: aveva iniziato a scrivere e studiare in tutti i momenti liberi. Era un’attività che lo rendeva così felice che senza accorgersene gli aveva portato via dieci anni di vita. Ogni mattina, prima di andare a lavoro, passava al Castello Sforzesco ad ammirarla, e ogni volta credeva di averne colto un aspetto inedito. La bibliografia sull’argomento era sterminata, e lui la lesse tutta, convinto di poter dire comunque qualcosa di nuovo. Qualcosa che forse non riguardava l’opera in sé ma bensì il suo particolare rapporto con essa. Le opere d’arte non sono forse sempre legate al sentire di chi le osserva? Non è questo che le definisce? Sarebbe stato un saggio innovativo, che avrebbe spaziato dalla storia dell’arte alla psicoanalisi, alla letteratura, con un pizzico di autobiografismo mascherato, alla Sebald. Gli anni passavano e lui non si perdeva d’animo anzi, acquistava sicurezza.
Aveva iniziato anche a parlarne con i suoi colleghi editori, a Francoforte. L’agente più potente in circolazione aveva deciso di rappresentarlo senza aver letto neppure una sua pagina. «Mi fido» gli aveva detto. «E poi tu non hai davvero bisogno di me per pubblicare». E aveva ragione: era lei ad aver bisogno di lui per far uscire tutti quei libri – per lo più di modestissima qualità – che andavano poi a comporre il fatturato – sempre molto modesto – dell’agenzia e del mondo editoriale in generale.
Due anni dopo l’incontro con il grande autore spagnolo, ebbe modo di rivederlo in occasione del suo tour in Italia: avevano appena pubblicato il suo ultimo libro È tempo di dedicarsi alle olive, con una tiratura iniziale di duecentomila copie (centomila sarebbero state mandate al macero, ma ancora non lo sapevano). Non appena lo vide gli disse: «Ho fatto come mi hai detto tu. Sono due anni che sto studiando la Pietà Rondanini». L’autore spagnolo annuì con fare molto soddisfatto.
E così ecco che arriva, quella luminosissima mattinata autunnale, in cui Roberto, l’editore, elegante e profumato, è uscito per prendere il tram. È il giorno in cui esce il suo libro, finalmente. Ovviamente lo avrebbero voluto pubblicare tutti, ma alla fine lui ha scelto facendosi guidare non tanto dall’anticipo quanto dal prestigio della casa editrice che tutti, anche chi non lo confessa, sognano: Adelphi. La casa editrice che meno di tutte aveva mostrato entusiasmo, aveva detto solo un sì condiscendente. Come a dire: sì, se proprio dobbiamo possiamo pubblicarlo. Poi avevano proposto loro il titolo: La pietà e l’assoluto. Roberto lo trovava bellissimo.
Quel giorno sarebbe andato al lavoro come sempre, avrebbe preso un caffè alle macchinette, non se lo sarebbe fatto portare in ufficio dal suo stagista come d’abitudine. Tutti avrebbero voluto parlargli, tutti gli avrebbero detto che avevano comprato o avrebbero comprato il libro. Ma lui sarebbe rimasto umile e avrebbe fatto finta di nulla. Alcuni forse avrebbero notato il suo abbigliamento particolarmente elegante. La gran parte gli avrebbe detto: “ci vediamo stasera!”. Era fissata infatti alle diciannove una presentazione del libro in pompa magna proprio al Castello Sforzesco, sotto gli occhi della Pietà Rondanini. Si vociferava che ci sarebbe stata tutta la Milano che conta, ma forse anche la Torino e la Roma che contano sarebbero arrivate a Milano per l’occasione. Alcuni dicevano che ci sarebbe stato addirittura Beppe Sala. Mentre, purtroppo non ci sarebbe stato il noto autore spagnolo (tutti ormai conoscevano l’aneddoto), il quale non solo era definitivamente caduto in disgrazia (letterariamente parlando) dopo È tempo di dedicarsi alle olive, ma era anche morto qualche mese prima a causa di un brutto cancro alla prostata. L’editore aveva deciso che avrebbe pronunciato qualche parola in suo ricordo durante l’evento e nei ringraziamenti aveva scritto a… che mi ha dato il coraggio. Il libro aveva deciso invece di dedicarlo a Michelangelo Buonarroti, che mi ha insegnato l’arte. Insomma: tutto lasciava presagire un grandissimo successo.
E così avvenne. Nessuno notò l’assenza di Beppe Sala perché ci fu un ospite a sorpresa: Michel Houellebecq. Anche se fu solo una fugace apparizione. E anni dopo si scoprì che era capitato lì per pura casualità: di passaggio a Milano con la moglie avevano deciso di visitare la Pietà Rondanini. Immaginate lo spavento di Houellebecq quando si ritrovò davanti quanto da lui più odiato: altri esseri umani che potevano per qualche ragione sentirsi in diritto di colloquiare con lui.
Anche l’accoglienza della critica fu straordinaria, tutti gli autori che aveva pubblicato nel corso degli anni scrissero articoli mirabolanti, come se di fronte al libro dell’editore avessero avuto una sorta di estasi mistica. Tutte le maggiori testate titolarono in grande stile: L’editore autore svela la Pietà; Michelangelo come non lo avete mai visto; Stile e contenuto: cosa chiedere di più?
Da questo coro di assensi si distaccò solo un trafiletto, in un giornale secondario, scritto da un noto critico che per le sue posizioni, sempre schiette e precise, era stato nel tempo molto marginalizzato sia dal mondo culturale che da quello accademico. Ma nessuno ci fece caso. Il successo era schiacciante.
Negli anni La pietà e l’assoluto vendette quasi un milione di copie. Roberto decise di andare in pensione anticipata per godersi gloria e ricchezza. Ormai lo invitavano a parlare ovunque poiché era considerato il fondatore di un modo tutto nuovo di intendere la saggistica. La sua esperienza aveva aperto la strada a una polifonia di voci non specialistiche, che, dopo le dovute ricerche, esprimevano le loro inedite interpretazioni di quella o quell’altra opera d’arte. Amadeus, abbandonata ormai la decennale conduzione sanremese, scrisse un saggio dedicato alla Resurrezione di Piero della Francesca. Ispirati dall’esempio del grande editore, questi nuovi e inaspettati autori credevano che fosse necessaria un’adesione totale con l’opera di cui si decideva di scrivere, dunque anche Amadeus si trasferì per quattro anni a Sansepolcro dove ogni giorno poteva osservare da vicino la Resurrezione.
Grazie a Roberto nacque una rinnovata attenzione nei confronti delle grandi opere d’arte del passato, che, come una febbre, contagiò autori e lettori. Nessuno si sentì di biasimarlo per il suo desiderio di andare in pensione: certo, il grande gruppo editoriale si sarebbe sentito perso senza di lui, ma cosa potevano chiedere ancora a un uomo che aveva già dato così tanto all’editoria e alla letteratura?
Prima di andarsene Roberto, che aveva molto a cuore la sua tranquillità, impose la pubblicazione di Tebani, il romanzo della sua amica e vicina di casa Mariachiara: voleva infatti camminare per le strade di Porta Venezia senza avere il terrore di incontrarla e di subire le sue recriminazioni.
Il romanzo di Mariachiara poi entrò – con grande stupore di tutti – in tendenza su TikTok: il web si riempì di adolescenti in lacrime per le vicende amorose dei due generali tebani protagonisti, Pelopida ed Epaminonda. Nel tempo vendette due milioni di copie. Ogni volta che incontrava Mariachiara per strada lei lo scherniva: «Che le avevo detto? Doveva avere fiducia in me fin da subito!».
Trascorsero così i dieci anni più belli della vita di Roberto. Si trovò anche una fidanzata: un’adorante dottoranda in Storia dell’arte che sosteneva che il suo libro le aveva cambiato la vita, e che avesse rivoluzionato per sempre il modo di intendere l’arte. Insieme viaggiarono per il mondo, sempre alla ricerca di una nuova, grande, opera che potesse convincere Roberto a scrivere ancora. A condividere di nuovo con il mondo la sua visione così unica e inedita dell’arte. Ma nulla di ciò che vedeva poteva competere con la Pietà Rondanini. E a lui andava bene così.
Al decimo anno dall’uscita del libro Adelphi decise che la ricorrenza andava celebrata in grande stile. In realtà fu l’agente di Roberto a deciderlo, e Adelphi non poté che consentire, sebbene controvoglia. Amadeus, ormai molto anziano, si offrì di condurre la serata. La data fu fissata per il 12 settembre e la lista prevedeva oltre quattrocento invitati. Politici, registi, scrittori, attori, banchieri, perfino Maurizio Cattelan – e ovviamente anche Alessandro Cattelan – dissero che non si sarebbero persi l’evento per nulla al mondo. Il Comune di Milano, sebbene da tempo ormai passato tragicamente a destra, o forse proprio per questo, si mostrò entusiasta di concedere che la festa si tenesse nelle stanze della Pietà Rondanini. D’altra parte, la nuova amministrazione comunale riusciva a capire perfettamente il binomio uomo-donna rappresentato dalla statua, sebbene gli sfuggisse la comprensione generale di quasi tutto il resto.
Il giorno della festa Roberto uscì di casa vestito di tutto punto. Anche quel giorno, come dieci anni prima, avrebbe fatto finta di niente e si sarebbe comportato come se tutto fosse naturale: felice, sì, ma non troppo. Il suo successo era stato meritato, non c’era nulla dunque né per essere particolarmente grati, né per essere particolarmente sorpresi.
La festa si avviò nel migliore dei modi, c’erano camerieri incravattati che portavano da bere e una leggera musica di violino faceva da sottofondo. Tutte le discussioni si muovevano danzando tra i complimenti al libro di Roberto, e lo stupore estasiato di fronte alla Pietà Rondanini. Quei due corpi al centro della lunga sala, piegati l’uno sull’altro, senza equilibrio e senza sguardo, svettavano sopra le teste e il rumore. Se ci si fosse soffermati a osservarlo, veramente, quel furioso marmo graffiato, si sarebbe stati sopraffatti dal dolore.
Muovendosi fra gli invitati, invece, si potevano intercettare grandi scrittori alle prese con dichiarazioni di questo tipo: “bellissima, proprio perché incompiuta”, “sono opere come questa che ci fanno dubitare della nostra idea di perfezione”, “quest’opera potrebbe essere paragonata al Satyricon di Petronio”. Altri si lanciavano in osservazioni più sofisticate, paragonando lo sguardo di Roberto a quello di Georges Didi-Huberman, e notando come anche lui avesse provato a scardinare l’opera d’arte dal suo tempo, e avesse così scelto uno sguardo eccedente, capace di aprire a nuovi orizzonti.
La Pietà Rondanini era circondata dal meglio dell’intellighenzia milanese. Roberto si guardava intorno compiaciuto, braccato dalla sua agente decisa a non lasciarsi sfuggire neanche un granello della gloria riflessa che si sarebbe potuta riversare su di lei. Sottovoce, quando Roberto era lontano, diceva agli avventori più curiosi che era stata proprio lei a dare per prima a Roberto l’idea di quel libro: la storia della conversazione tra lui e il grande autore spagnolo? Leggende metropolitane. Era solo di lei il merito di questo successo. Non lo diceva per vantarsi, ovviamente, ma solo per ribadire che anche lei aveva contribuito a migliorare per sempre i parametri interpretativi della critica d’arte.
Poi, quando la festa era decollata, tutte le conversazioni erano state lasciate da parte e gli invitati esprimevano sé stessi solo attraverso goffi movimenti del corpo al ritmo di una danzante musica moderna, ci fu un momento di confusione, brusii, anche la musica si spense: all’ingresso era comparsa una figura minuta, canuta, con in mano una lunga sigaretta che aspirava indifferenza all’assoluto divieto svettante all’ingresso. Alcuni lo riconobbero subito, altri furono presi da una sotterranea inquietudine, alimentata dalla paranoia alcolica. Fattosi avanti, nella luce stroboscopica della sala, lo riconobbero tutti: era Michel Houellebecq.
Gli invitati gli si aprirono intorno come le acque del Nilo al passaggio di Mosè, solo Roberto, il deus ex machina dell’editoria italiana, fu pronto ad andare incontro allo scrittore, con un sorriso compiacente, come se la sua presenza lì non fosse del tutto inaspettata. Houellebecq da parte sua continuò a fumare, dicendo pochissime parole, molti merci, molti segni d’assenso, evitando di rispondere a tutte le domande dirette. Era il mago dell’elusione, forse perché da anni agenti, editori e uffici stampa cercavano di insegnargli il silenzio, onde evitare che una sua causale dichiarazione – sempre eversiva – finisse sulle prime pagine dei giornali: il rischio era molto alto per un uomo che si era ritrovato, a sua insaputa, a girare un filmino a luci rosse in Olanda.
Roberto lo condusse al tavolo del buffet, dove lo scrittore si versò del vino rosso e agguantò diverse fette di salame: mentre l’editore gli parlava nel suo perfetto francese lui continuava a ingoiare fette di salame, intervallate solo da lunghe sorsate di vino. Entrato nel tasso alcolemico degli altri presenti, anche lo scrittore si gettò nella mischia, congedandosi con un gentile inchino da Roberto.
Quella notte Roberto tornò a casa felice e ubriaco, convinto di aver dato il via non solo a una rinnovata attenzione per l’arte, ma anche a una lunga amicizia con Michel Houellebecq. Sognava che avrebbero trascorso insieme le prossime vacanze.
Immaginate dunque il suo sgomento, il terrore, quando l’indomani aprendo il giornale lesse in prima pagina l’articolo che riportiamo di seguito:
DISTRUTTA LA PIETÀ RONDANINI: unico indagato lo scrittore francese M. H.
È incommentabile l’orrore che si sono trovati davanti questa mattina gli addetti alle pulizie del Museo del Castello Sforzesco di Milano. La Pietà Rondanini di Michelangelo, celebrata dal fortunato libro di Roberto M., frantumata da una furia omicida. Si indaga sullo scrittore M. H. ritrovato addormentato in una delle sale del museo con in mano un martello. Lo scrittore deve essere rimasto all’interno dell’edificio in seguito al party tenutosi proprio in occasione dei dieci anni dall’uscita del libro di Roberto M. La pietà e l’assoluto. La decisione del Sindaco di permettere lo svolgimento della celebrazione proprio nella sala dove la scultura era conservata aveva già scatenato diverse polemiche nei giorni scorsi… (continua a pg.3)