Continua la collaborazione tra Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain di Parigi. Dopo aver dato vita alla prima mostra personale in Italia dello scultore iperrealista australiano Ron Mueck, conclusasi nel marzo scorso, è la volta di un’ampia e dettagliata retrospettiva dedicata a uno dei protagonisti assoluti della cultura del progetto: Alessandro Mendini. A dare il titolo alla mostra è un disegno del 2006 in cui Alessandro Mendini si raffigura come un drago con testa da designer, corpo da architetto, mani da artigiano, petto da manager, pancia da prete, piedi da artista, gambe da grafico, coda da poeta. Un ritratto postmoderno in cui l’interdisciplinarità prende la forma di una sensibilità ironica, unica, capace di mixare architettura, design, arte visiva, grafica, militanza teorica e editoria. Un intreccio di atteggiamenti che danno forma a Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini. La mostra, curata dallo storico dell’architettura Fulvio Irace con l’allestimento di Pierre Charpin, restituisce tutta la complessità di una delle personalità più originali e rappresentative della cultura del XX e del XXI secolo. «Il mio lavoro più che su basi visive nasce dal moto perpetuo del pensiero» amava ripetere Mendini, ed è proprio dall’elaborazione teorica che nasce il suo impegno di diffusione culturale attraverso riviste come «Casabella», «Domus» e «Modo», dai turbolenti anni Sessanta alla banalità iperconsumista degli Ottanta fino alla crisi della realtà digitale dei Duemila. 

La mostra si apre con un ingrandimento fuoriscala della Poltrona di Proust, icona di una visione del design che rifiuta le barriere disciplinari, i confini tra cultura alta e bassa per aprirsi alla complessità dell’ibridazione, al gioco delle contaminazioni, a una colorata e punteggiata trasgressione linguistica, che è anche una rivisitazione dell’ornamento, del decoro, attraverso lo studio del Futurismo italiano, in particolare di Fortunato Depero, con la sua intenzione poetica di rallegrare il mondo attraverso il colore. Tutti attrezzi con cui demolire il razionalismo e la freddezza. 

Sono in particolare i disegni in mostra a restituire

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