Sono spuntati stanotte. A manciate: dieci, venti, cinquanta. Piccoli cumuli di sassi si sono sollevati dalla pietraia. Là ciottoli piatti s’impilano l’uno sull’altro, torrette di dischi affusolate verso l’alto; qua ne bastano tre, un sasso largo da base, uno mediano da busto, e uno stranamente piccolo da testa. Non a caso, si chiamano “ometti”. Sculturine semplici e sorprendenti, esercizi di equilibrio, giochi di forme tra l’elementare e l’irregolare, che risvegliano istinti primigeni ed evocano design alla Munari – estro e ingenuità.

Queste «rudimentali piramidi di sassi» – dichiara il vocabolario Treccani – «in alpinismo (…) vengono innalzate su una vetta da chi per primo l’ha raggiunta» o «si pongono come punto di riferimento per indicare lo svolgimento di un sentiero».

Qui però siamo in piana, su una piccola e quasi deserta spiaggia corsa.

Dei segnavia, dunque. Indici rivolti verso l’alto, segnali enigmatici di un percorso. La strada appare sicura, ma qualcuno deve aver sentito il bisogno di marcare una via, come se ci si potesse perdere nel corridoio di terra, di sabbia, ciottoli e sassi di varie dimensioni, che si estende piuttosto inequivocabile lungo il mare.

A ben guardare hanno anche l’aria di segnatempo: singolari meridiane, su cui conteggiare le ore man mano che la sabbia si fa più infuocata.

Le coordinate precise di questo fazzoletto di Mediterraneo – se ci si aggancia alla Rete – si perdono subito in una geografia più vasta. Internet informa che i “cairns” – l’ampia famiglia delle costruzioni a mucchi di pietre – sono diffusi un po’ ovunque: dalla Gran Bretagna (il termine viene dallo scozzese antico) alla Somalia, dal Tibet agli Stati Uniti e al Canada. Raccontano di cammini da seguire nelle brughiere, di piste di cacciatori nativi per condurre i bufali al dirupo, di punti di riferimento attraverso i mari del Nord.

Arianna Marelli,ometti di pietra,sebald,cairns

Indicatori per i vivi, con tutte le vicende che – indietro fino alla preistoria – possiamo immaginare svoltesi attorno. Indicatori per i morti, i cui sepolcri erano o erano segnalati dai cumuli stessi.

Che gli ometti siano presenze perturbanti, è sicuro. Sulla spiaggia nessuno li ha visti costruire; se ne stanno in piedi, come sorti da soli. Nella loro immota esistenza, incorporano qualcosa che forse conosciamo, qualcosa che è estraneo e che pure assomiglia, ci assomiglia. Sarà il caldo o il rimbalzo del sole, ma qui le cose riverberano l’una sull’altra: materia chiama materia, sasso rimanda a sasso, per lapidee filiazioni che rimontano i millenni. Nel ricordo, alla schiera delle ritte figurine servizievoli si sovrappone l’altro misterioso popolo di pietra che continua ad abitare l’isola: le oltre 100 statue-menhir piantate nel terreno della Corsica, come quelle di Filitosa che risalgono a circa 3800 anni fa. Monoliti che sono, caratteristica speciale (come nella sorella Sardegna), vere figure umane, con tanto d’occhi e naso, armate di spade o pugnali.

Secondo le guide, compendio del sapere per ignari viaggiatori, chi fossero questi guerrieri muti e colossali resta ancora in dubbio: l’incubo di genti nemiche, diventato concreto e reale invasore? un riconoscimento fatto scultura ai capi locali? E vengono avanzate pure altre ipotesi: simboli di fertilità, per rendere ricca e produttiva la terra? o ancora omaggio a quegli stessi capi, ma in morte?

Nulla esclude, o almeno così pare, che le interpretazioni possano anche sovrapporsi. E riecheggiare ancora in altre, del tutto diverse, esperienze.

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Più volte, nel 1995 e nel 1996, Sebald aveva raggiunto la Corsica per un libro che aveva in mente: Aufzeichnungen aus Korsika. Zur Natur- & Menschenkunde, degli appunti per uno studio della natura e delle genti corse, rimasti solo progetto, trasfusi poi in altre opere. Ne aveva comunque completato alcuni racconti, già pronti per la pubblicazione, quando l’incidente d’auto lo portò via nel dicembre del 2001. Uno di questi s’intitola Campo Santo. Un’estemporanea passeggiata nel cimitero di Piana spalanca allo scrittore quel territorio incerto e ambiguo – di lapidi e leggende – che riguarda il rapporto che i corsi intrattengono con i loro morti. Persino tra le tombe di un piccolo centro come quello, dice Sebald, si possono leggere i gradini della scala sociale della comunità: «Le pietre più poderose vengono poste di regola sui sepolcri dei più ricchi, perché soprattutto nel loro caso è vivo il timore che contestino l’eredità toccata ai discendenti e possano così tentare di riprendersi il bene perduto»  (in Le Alpi nel mare, trad. ita. Ada Vigliani, Adelphi 2011). Una comunità insomma che col decoro dà forma visibile alle proprie paure. Sono poi tutti monumenti abbastanza recenti e il motivo, scoprirà mesi dopo Sebald, è che i cimiteri – istituiti sull’isola intorno alla metà dell’Ottocento – rimasero a lungo inutilizzati: «i famigliari non volevano, o non osavano, portar via un morto, a suo tempo padrone di un pezzo di terra, dal luogo di sua proprietà e in cui era vissuto». Ed effettivamente – lo nota Sebald, si vede ancora oggi – dietro ai bassi muri che delimitano le strade corse, ai margini di campi e di giardini, spesso spuntano improvvise croci o piccole cappelle: traccia visibile di quest’usanza passata. «Ho anche letto», aggiunge Sebald, «che in Corsica molte donne anziane avevano l’abitudine di trovarsi, la sera del sabato, presso le dimore dei morti per stare ad ascoltarli, per chiedere consiglio su come mettere a profitto la terra e per altre questioni riguardanti la giusta condotta». Morti-consiglieri. Eppure qui in Corsica – come forse dappertutto – i defunti, lungi dal rimanere confinati sotto le pietre sepolcrali, conservano un’aura malevola, di potenziale minaccia per i vivi: «giacché i morti venivano ritenuti assai suscettibili, invidiosi, vendicativi, litigiosi e astuti. Bastava offrire il minimo pretesto, e senza fallo si diventava oggetto del loro malanimo».

Chi ha eretto allora gli ometti-pietra sulla spiaggia, questi apparentemente innocui aiutanti che provengono da chissà quale mondo o tempo? Certo, non è chiaro dove vogliano condurci. Se – via terra – lungo la costa, a fracassarci sulle rocce che chiudono la spiaggia e si gettano a strapiombo nel blu. O se fuori – verso il mare – ad inabissarci nell’acqua che avvolge trasparente questa dorsale montuosa, «le Alpi nel mare» appunto, che emerge in mezzo al Mediterraneo. La Corsica.

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