Mani ficcate nelle tasche, sguardo basso e furtivo, un passo calmo, gli abiti casual e colorati di qualcuno che non deve prestare troppa attenzione al suo abbigliamento per risultare credibile: l’ingresso in una stazione di polizia di Donny (Richard Gadd) è accuratamente pensato per portare in scena ambivalenze, contraddizioni e zone d’ombra. Il poliziotto a cui rivolge un timido tentativo di denuncia sembra essere dello stesso avviso: lo stalking è un problema che dovrebbe colpire solo le donne o, al massimo, gli uomini gay.

La divisione eterosessuale dei meriti e delle colpe si ripercuote anche sulla nostra percezione dei concetti di minaccia e di pericolo. Una donna più anziana che ti sommerge di e-mail poco stimolanti e sgrammaticate a proposito del suo pranzo, della sua giornata, sottoponendo la pazienza altrui a riflessioni random sulla vita e sull’amore a prima vista, non è propriamente pericolosa quanto un uomo fisicamente minaccioso e sessualmente disturbante. Eppure Baby Reindeer, l’adattamento dell’one man show di Richard Gadd, è la testimonianza, condita di estetiche e stratagemmi narrativi da grande distribuzione – oltre che della necessaria distanza, emotiva e psicologica –, di una sua esperienza personale.

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