È probabile che la lettura di Michael Cimino. Il cacciatore, I cancelli del cielo e il prezzo delle visioni di Charles Elton (traduzione di Anita Taroni, Baldini&Castoldi, 2024) non farà cambiare idea né a chi crede che il regista nato (pare) nel 1939 e morto (non si sa come) nel 2016 sia un genio vittima di Hollywood, né a chi è convinto che sia un cialtrone che solo una volta (con Il cacciatore) riuscì a girare qualcosa di memorabile – e forse neanche quella. Il che è segno che Elton ha fatto un buon lavoro, equilibrato e documentato (anche se non totalmente esaustivo: la lista dei progetti falliti è ancora più lunga di quella che propone), smontando una serie di leggende. 

La prima: I cancelli del cielo, il kolossal western di sinistra di 216 minuti che, nel 1980, costò circa 40 milioni di dollari (più o meno) incassandone meno di 4 in seguito al linciaggio della critica e a disastrosi rimontaggi, non fu, come vuole la leggenda nera, il film che fece fallire la United Artists e pose termine alla stagione creativa della New Hollywood ­– quella in cui registi anticonformisti (Altman, Bogdanovich, Coppola, Scorsese, Friedkin, Ashby, Pakula…) riuscivano ad avere sia libertà creativa sia i soldi delle majors. La Universal, infatti, era già messa maluccio. Di film altrettanto costosi e ancora meno redditizi ce ne furono tanti altri (Un sogno lungo un giorno [1981] di Coppola, per esempio). E per finire Cimino non aveva proprio nulla a che fare con la New Hollywood: veniva dalla pubblicità, non era un intellettuale e/o un cinefilo come i registi citati, ed era anche molto meno abile a gestire la propria immagine. 

Il passaggio dal trionfo del Cacciatore (Oscar come miglior film e miglior regia nel 1979: niente male per un semisconosciuto che prima aveva diretto solo un film di medio profilo per Clint Eastwood, Una calibro 20 per lo specialista) al crollo dei Cancelli del cielo, che segnò la carriera del regista, rimane un classico cautionary tale, una delle più grandiose parabole di ascesa e caduta della storia di Hollywood, più impressionante perfino di quella di Orson Welles.

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